Cultura

Dal nostro inviato in Nuova Guinea

Editoriale di Giancarlo Giojelli sul dramma in corso nella Nuova Guinea

di Redazione

Le informazioni più precise e puntuali sul dramma della Papua Nuova Guinea ci sono arrivate in questi giorni grazie ai servizi di Giancarlo Giojelli, caporedattore del Tg5. Già autore, qualche anno fa in Rai, di reportage indimenticati sui missionari in quella lontanissima regione, proprio grazie al collegamento quotidiano con un vescovo missionario, Giojelli ha saputo tenerci aggiornati e desti. A lui abbiamo chiesto l?editoriale .
L?hanno sentita arrivare, l?onda: prima la terra che trema, poi il mare che si gonfia, si ritrae dalla spiaggia e infine si abbatte. Più alto delle palme, dieci, quindici metri. Venticinque chilometri di costa spazzata via. Pochi sono riusciti a fuggire, solo i più fortunati che abitavano verso la montagna. Erano in diecimila, nei sette villaggi cancellati in pochi secondi ora sono rimasti in duemila, là in quel lembo di terra della Papua Nuova Guinea, alle foci del Sepik, dall?altra parte della terra. Un posto nemmeno segnato sulle carte geografiche.
Monsignor Cesare Bonivento, vescovo missionario, abita lì da vent’anni. La sua casa è a pochi chilometri dal punto dove è passato il maremoto. «Ho visto le case distrutte», mi racconta, «poi di colpo più nulla. Solo pochi rimasugli, pezzi di bambù, rovine, e tanti, tanti cadaveri che galleggiano nell’acqua. Molti erano miei amici, e tra loro tanti bambini. Studiavano nella scuola della missione, dormivano da noi. Solo poche ore prima erano tornati a casa per tre giorni di vacanza. L?onda è arrivata di sera, tanti erano già a dormire nelle capanne». I missionari e le suore lavorano giorno e notte per organizzare i soccorsi. Tutti i sopravvissuti sono in condizioni gravissime. «Non ho mai visto tante fratture», dice un medico arrivato dall’Australia, «E tutte sono infette: sono rimasti per ore nell’acqua imputridita».
Il mare adesso si è ritirato, lasciando il posto a uno scenario da incubo. I cadaveri galleggiano ancora a migliaia. Il rischio epidemie è altissimo. «Il lavoro più duro è ora seppellire i morti», mi dice monsignor Bonivento, «l?aria è pesantissima. Siamo esausti, ma bisogna fare in fretta: si contano i vivi, i sopravvissuti per capire quanti sono i morti. Forse non lo sapremo mai esattamente, ma dovrebbero essere in ottomila».
Il Papa ha lanciato un appello alla comunità internazionale perché si mobiliti. Intanto la solidarietà dei più poveri si è già messa in moto. «Qui tutti», racconta il vescovo missionario, «hanno subito aperto le loro case. Tutta la zona intorno all’area del maremoto è diventata un solo, grande, ospedale. Sto imparando molto dalla fede e dalla carità di questa gente che non ha nulla ma sta dando tutto. In Italia molti si sarebbero adirati contro Dio, qui invece è grandioso lo spettacolo della carità: la gente glorifica Dio nella carità. Vi prego, raccontate quanto sto imparando e fate in modo che il mondo ci aiuti».

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