Economia

Dal fintech al bar e ritorno, con passione

La sostenibilità sociale secondo Ida De Sena, protagonista dell’ottava puntata della nuova rubrica di VITA. Come responsabile delle attività Esg di Mooney ha aperto la piattaforma per i pagamenti digitali al Terzo settore. Ma il segreto per lei è vivere la cittadinanza fino in fondo. Senza “infiocchettare” niente (leggi green e social washing)

di Nicola Varcasia

L’unione inaspettata tra rock, ballata e opera fa di Bohemian rapsody una delle canzoni più belle e irripetibili che siano mai state composte. Ma che cosa tiene insieme le varie parti? Qual è il fattore unificante? Nel caso di Freddie Mercury, è un’alchimia non semplice da spiegare. In quello di Ida De Sena, che l’ha scelta come brano simbolo per l’ottava puntata della rubrica di VITA sui Volti della sostenibilità, invece sì: è la passione. Passione per l’insegnamento alla 24Ore Business school (dopo averne anche frequentato il master). Passione per le attività sociali, con la sua onlus Da zero a dieci. Passione per il lavoro, che oggi l’ha portata a ricoprire il ruolo di head of sustainability and institutional affairs presso Mooney, la fintech italiana di prossimità controllata da Enel e Intesa Sanpaolo, attraverso Enel X e Isybank.

Completi lei il quadro…

Mi sono formata alla Luiss Guido Carli di Roma e con due master, allo Iulm e alla 24Ore Business school, dove insegno da più di otto anni. La considero una delle mie attività più gratificanti, un modo per trasferire e ricevere dai ragazzi. Dopo una breve esperienza nelle relazioni esterne in un fondo di investimento, sono entrata in Sisal occupandomi di relazioni istituzionali e compliance.

È lì che si è avvicinata al mondo dei pagamenti?

Sisal operava in due rami di business, gioco e pagamenti, con Sisal pay. Quando, nel 2019, le due aziende sono state separate, è stata costituita Mooney. Fino all’estate scorsa, nella compagine societaria era ancora presente Cvc capital partner (azionista di riferimento di Sisal) assieme a Banca 5. Nel 2022, Enel ha rilevato l’attività da Cvc e giungiamo all’assetto attuale, recentemente completatosi con nuove acquisizioni, che hanno fatto crescere il nostro Gruppo da cinquecento a circa ottocento persone.

È durante questi passaggi che si è specializzata nei temi della sostenibilità?

Dal punto di vista personale, li ho sempre seguiti. Ma, nel corso della riorganizzazione di cui stiamo parlando, si è resa evidente la grande vicinanza, anche nel mondo economico, tra il ruolo delle relazioni istituzionali e la sostenibilità. Così i due ruoli sono confluiti in uno stesso team di cui mi è stata affidata la guida.

Che tipo di responsabilità è?

I temi della sostenibilità consentono di rappresentare l’azienda all’esterno in modo più completo, dove gli interessi di business sono inseriti in una panoramica più ampia, che vede l’impresa come un attore responsabile nel mondo.

Partiamo dal business, che cosa fa Mooney?

Con una rete capillare di oltre 45 mila esercizi convenzionati completamente integrata con l’ecosistema digitale, Mooney svolge un importante ruolo sociale garantendo alla comunità di accedere in modo semplice, veloce e sicuro ad un’ampia gamma di servizi. In particolare, permette di effettuare operazioni di incasso e pagamento – come bollette e PagoPA, emissione e ricarica di carte prepagate, ricariche telefoniche – acquistare biglietti di trasporto e parcheggio attraverso l’app MooneyGo e usufruire di servizi transazionali prima disponibili solo presso gli sportelli bancari – come ritiro di denaro contante, bonifici e MAV. .

Fintech di prossimità: non è un ossimoro?

Può sembrare, ma il nostro obiettivo è proprio quello di proporre servizi di pagamento ad alta componente tecnologica ad un’ampia fascia della popolazione, anche nei più piccoli centri urbani.

Quali sono le categorie dei vostri servizi?

Il primo filone è quello dei pagamenti e degli incassi per conto delle aziende partner, grazie al quale, ad esempio, possiamo pagare le bollette anche dal tabaccaio. Con l’arrivo di Banca 5, abbiamo aggiunto i cosiddetti servizi transazionali, quali il bonifico o la possibilità di versare o prelevare, prima disponibili solo allo sportello. Non da ultimo offriamo al largo pubblico la nostra carta prepagata dotata di iban facilitando il processo di bancarizzazione.

Ce n’è un terzo?

È quello più emergente: con la recente acquisizione delle società Pluservice e myCicero siamo diventati attori nel settore della mobility. Con l’app MooneyGo presente in 5mila comuni, è possibile pagare in modo elettronico la sosta e i trasporti pubblici senza dover scaricare le app dei singoli gestori di questi servizi.

Come leghiamo tutto questo alla sostenibilità?

Vorrei fare un passo indietro.

Prego.

La Corporate social responsibility in passato era inserita all’interno delle direzioni marketing e comunicazione. Questo rischiava di renderla un qualcosa di ancillare, quasi un “fiocchetto”, se mi è concesso il termine, che si appoggiava alle altre attività. Negli anni, ho visto il filone della sostenibilità prendere sempre più forma e concretezza. Considero una grande fortuna aver iniziato ad occuparmene quando la materialità è diventata centrale.

Qual è il vantaggio di questo approccio?

Aver potuto strutturare la strategia di Mooney in ambito sostenibilità su temi vicini al business. È questo che fa la differenza ed evita il rischio di una serie di possibili accuse che vanno dal green al social washing.

Come interpretate la sostenibilità in Mooney?

Abbiamo lavorato molto sulla Esse, sugli aspetti sociali connessi al nostro operato. Non siamo un’azienda produttiva, perciò la nostra impronta carbonica – per quanto sia presente e, dunque, migliorabile – per noi è meno impattante.

Sfatiamo il mito dell’impatto della plastica delle carte di credito non riciclata?

Abbiamo approfondito molto anche questo aspetto, con un assesment che ci ha aiutato a comprendere come l’impatto più significativo su cui lavorare ancora per noi non sia tanto la plastica, quanto la carta termica degli scontrini. Per questo stiamo implementando un importante progetto di dematerializzazione.

Torniamo alla Esse, che è la “lettera preferita” da VITA, come la affrontate?

Valorizzando il più possibile l’opportunità di giocare il nostro ruolo come cittadini nel portare avanti l’educazione e l’inclusione finanziaria, sia con le persone sia per gli enti del Terzo settore. Io stessa ho toccato con mano quanto sia importante per il non profit.

In che modo?

Con alcuni amici cinque anni fa ho fondato una piccola onlus, Da zero a dieci, che raccoglie fondi per l’Istituto europeo di oncologia, in memoria della mia migliore amica, scomparsa per un tumore. Il nome, come qualcuno potrà intuire, ricorda la scala del dolore che i medici usano nelle loro domande.

Cosa le ha fatto capire questa intensa esperienza dal punto di vista della sostenibilità?

Mi ha fatto rendere conto della mancanza di un anello di congiunzione tra la struttura, spesso molto agile, di un ente e la sua capacità di raccolta fondi e di incasso. È una questione che riguarda migliaia di attività sociali. Perciò, riflettendo su come sviluppare la sostenibilità in azienda, abbiamo deciso di aprire la rete di Mooney alla raccolta fondi al Terzo settore.

Come?

Abbiamo messo a disposizione una piattaforma attraverso la quale gli enti possono svolgere l’attività di incasso, al pari dei nostri partner, però gratis, senza costi di commissione, di set up o altro. L’abbiamo chiamata, in modo informale, “generosity network”.

C’entra anche la fiducia?

L’ente interessato genera un qr code relativo alla campagna che sta promuovendo. Il donatore, incontrato magari in piazza, in un banchetto o durante un evento, può andare al bar, effettuare la donazione e tornare indietro con lo scontrino. Questo percorso garantisce la certezza della buona destinazione dell’offerta. La prossimità è garantita dal fatto che il bar si trova praticamente in tutte le piazze.

Quanto è cambiato il suo lavoro negli ultimi anni?

Tantissimo. È diventato un mestiere estremamente trasversale, che richiede capacità di project management, per costruire progetti sempre più coerenti e vicini al business e al piano industriale, dialogando con tutte le funzioni aziendali. La nuova direttiva europea sulla rendicontazione della sostenibilità, che investirà l’Italia nei prossimi due anni, va in questa direzione. Noi ci siamo portati avanti, redigendo un bilancio di sostenibilità certificato anche se il nostro Gruppo non aveva ancora l’obbligo della Dichiarazione non finanziaria. Vedo una difficoltà da parte dei piccoli e medi fornitori a mettersi in linea. Non per cattiva volontà, sono molto spesso aziende che funzionano bene, ma per scarsa attitudine a pensarsi nei termini richiesti dalla nuova impostazione.

Cosa si può fare?

Le aziende come la nostra hanno la responsabilità di educare i propri fornitori, soprattutto i più piccoli, a iniziare a ragionare in un’ottica di rendicontazione della sostenibilità.

Lei vive intensamente il suo ruolo, dove trova questa ispirazione?

Sono fermamente convinta che il lavoro della sostenibilità richieda almeno un minimo di interesse per i temi sociali. Penso che ognuno, come dice l’autrice e amica Cinzia Pilo, abbia una personal social responsibility che va al di là di quello che può fare un’azienda.

Che cosa rappresenta per lei?

Ho tre figli e non scherzo se dico che la mia responsabilità la sento principalmente rispetto a loro. Però la dimensione sociale è fondamentale. Anche per questo, insieme ad altri cittadini del quartiere di Roma in cui abito abbiamo avviato una piccola associazione per la cura del decoro urbano.

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