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Dal decreto Semplificazioni pari dignità agli affidamenti al Terzo settore

Tra le modificazioni contenute nella legge di conversione emergono modifiche chiaramente dirette a realizzare un coordinamento legislativo (sin qui mancante) tra Codice dei contratti pubblici e Codice del Terzo settore

di Antonio Fici* e Luciano Gallo

Nella giornata di ieri, 10 settembre, la Camera dei Deputati ha definitivamente approvato la legge di conversione (A.C. n. 2548) del c.d. decreto-legge “semplificazioni” (ovvero il d.l. 16 luglio 2020, n. 76, recante misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale), già approvata lo scorso 4 settembre dal Senato della Repubblica.

Tra le modificazioni contenute nella legge di conversione spiccano alcune di fondamentale importanza per gli enti del terzo settore, in particolar modo alla luce della materia estremamente complessa e delicata su cui intervengono, cioè il rapporto tra pubbliche amministrazioni ed enti del terzo settore, oggetto del Titolo VII, articoli 55-57, del Codice del terzo settore.

Le modificazioni cui facciamo riferimento sono quelle relative al Codice dei contratti pubblici (d.lgs. 50/2016), e segnatamente ai suoi articoli 30, comma 8, 59, comma 1 e 140, comma 1.

Si tratta di modifiche chiaramente dirette a realizzare un coordinamento legislativo (sin qui mancante) tra Codice dei contratti pubblici e Codice del terzo settore. Ciò che tuttavia ne giustifica la fondamentale importanza per il terzo settore è che tale coordinamento sembra avvenire nel segno del primato di quest’ultimo (cioè del d.lgs. 117/2017) sul primo (il d.lgs. 50/2016), nei più precisi termini che illustreremo brevemente di seguito.

Le modifiche in questione sono le seguenti.

  • i) All’art. 30, comma 8, d.lgs. 50/2016, sono state inserite le parole sotto indicate in corsivo, ottenendosi così il seguente risultato: “Per quanto non espressamente previsto nel presente codice e negli atti attuativi, alle procedure di affidamento e alle altre attività amministrative in materia di contratti pubblici nonché di forme di coinvolgimento degli enti del Terzo settore previste dal titolo VII del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117 si applicano le disposizioni di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, alla stipula del contratto e alla fase di esecuzione si applicano le disposizioni del codice civile”. In tal modo, anche gli istituti “collaborativi” di cui agli articoli 55-57 del Codice del terzo settore finiscono per essere disciplinati dalle disposizioni della legge 241/1990 per quanto non previsto dai medesimi articoli 55-57 ed eventualmente dal Codice dei contratti pubblici, ove ritenuto applicabile a tali istituti quanto meno in via residuale.
  • ii) All’art. 59, comma 1, d.lgs. 50/2016, sono state premesse le seguenti parole: “Fermo restando quanto previsto dal titolo VII del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117”, il che vuol dire che quanto segue nell’articolo medesimo – ovvero “Nell’aggiudicazione di appalti pubblici, le stazioni appaltanti utilizzano le procedure aperte o ristrette, previa pubblicazione di un bando o avviso di indizione di gara …” – cede il passo alle forme e modalità di affidamento di cui agli articoli 55-57 del Codice del terzo settore, che devono dunque svolgersi secondo queste ultime regole particolari, loro dedicate dal legislatore della riforma del terzo settore, e non già secondo le regole di cui al Codice dei contratti pubblici.
  • iii) Parole analoghe sono state inserite nell’art. 140, comma 1, d.lgs. 50/2016, che disciplina gli appalti di servizi sociali (i più diretti “concorrenti” degli affidamenti di servizi ai sensi degli articoli 55 e 56 del Codice del terzo settore), sicché adesso l’articolo medesimo così recita: “Gli appalti di servizi sociali e di altri servizi specifici di cui all’allegato IX sono aggiudicati in applicazione degli articoli 142, 143, 144, salvo quanto disposto nel presente articolo e fermo restando quanto previsto dal titolo VII del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117”.

In breve, attraverso la formula del “fermo restando”, il legislatore sembra aver attribuito, nel rapporto tra Codice dei contratti pubblici e Codice del terzo settore, priorità a quest’ultimo. Ciò – si badi bene – non già nel senso che le pubbliche amministrazioni sono adesso obbligate a privilegiare le procedure di cui agli articoli 55 e 56 del Codice del terzo settore rispetto a quelle del Codice dei contratti pubblici, bensì nel più limitato senso che le procedure di cui agli articoli 55 e 56 del Codice del terzo settore (non ci riferiamo anche a quelle di cui all’art. 57 perché per diverse ragioni fanno storia a sé) acquisiscono nel Codice dei contratti pubblici la medesima dignità di quelle in quest’ultimo contemplate, assumendo per certi versi la veste di procedure “naturali” per le amministrazioni che intendano affidare attività di interesse generale ad enti del terzo settore. Sotto questo profilo, allora, se ancora non può parlarsi di modalità “prioritarie” (come invece si può tranquillamente affermare con riguardo a quelle di cui all’art. 57), si può sì parlare di modalità “naturali”, rispetto alle quali le vie del Codice dei contratti pubblici sono “alternative” e da giustificarsi specificamente da parte dell’amministrazione procedente. Si riducono pertanto i margini della discrezionalità amministrativa, anche alla luce dell’importante messaggio di recente veicolato dalla Corte Costituzionale, che nella sentenza n. 131/2020 ha attribuito copertura costituzionale non solo al terzo settore ma anche, più specificamente, ai rapporti ex art. 55 del Codice.

Un altro passo in avanti sembra dunque essersi oggi compiuto, ma il percorso rimane ancora lungo e intricato. Le norme, si sa, vanno poi applicate, ed interpretazioni del diritto interno operate sulla base del diritto euro-unitario degli appalti pubblici (a sua suscettibile di letture di segno diverso) possono sempre riservare spiacevoli sorprese al terzo settore. Per tutti questi motivi, rimane importante continuare a sviluppare una cultura giuridica capace di giustificare e legittimare gli strumenti giuridici di “amministrazione condivisa” (come adesso li chiama anche la Corte Costituzionale) di cui agli articoli 55-57 del Codice del terzo settore.

A tal fine, dopo aver organizzato un convegno molto partecipato lo scorso 11 giugno (di cui abbiamo dato conto in questo articolo), Terzjus – Osservatorio di Diritto del terzo settore, della filantropia e dell’impresa sociale ha in corso di pubblicazione il primo quaderno di una nuova collana di studi, dedicato proprio al tema dei rapporti tra enti pubblici e terzo settore dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 131/2020. Il libro, oltre che in forma cartacea, comparirà presto on-line, dove sarà disponibile gratuitamente sul sito www.terzjus.it.


* Professore nell’Università del Molise, Avvocato, e Direttore scientifico di Terzjus.

** Responsabile innovazione e semplificazione amministrativa, contratti pubblici e innovazione sociale, diritto del Terzo settore di ANCI Emilia-Romagna, nonché membro del Comitato scientifico di Terzjus. Le considerazioni contenute nel presente testo sono frutto esclusivo del pensiero dell’Autore e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza

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