Formazione

Dakar, l’impresa di Albert Llovera

di Roberto Brambilla

Buona la terza. Albert Llovera, 48 anni da Andorra, dopo due ritiri nel 2007 e il 2014, ha concluso la sua prima Parigi-Dakar, lungo “raid” che potere di brand si corre però in Sud America, con partenza e arrivo a Buenos Aires. Albert però non è un pilota comune. L’andorrano infatti vive dal 1985 su una sedia a rotelle. Sciatore di livello internazionale, più giovane atleta alle Olimpiadi invernali di Sarajevo 1984, l’anno dopo proprio sulle nevi della capitale bosniaca subì un gravissimo incidente. Impatto con un giudice durante una gara di Coppa Europa e lesione del midollo spinale che gli causano una paralisi dalle gambe in giù. E nel percorso di riabilitazione incontra lo sport.

Basket in carozzina e motori, dal quad fino al grande amore, le vetture turismo. Llovera però non vuole correre con i disabili, ma con i normodotati. L’andorrano battaglia per più di due anni per avere la possibilità di confrontarsi con tutti, diventando il primo disabile a ottenere la licenza. E già nel 1989 vince la Peugeot Rally Cup proprio ad Andorra. Negli Anni Novanta è partecipante fisso delle corse su pista sterrata ma e’ nel 2001 che entra nella storia diventando il primo atleta diversamente abile a correre in un Mondiale Rally. Fino al 2011 tra WRC (la massima categoia delle gare “fuori pista”), SWRC (la “Serie B”) e la JWRC (un campionato riservato ai piloti emergenti) gareggerà 50 volte, senza contare le competizioni nazionali.

E poi la Dakar, tentata per la prima volta quasi 10 anni fa nel 2007. Una gara che è epica per tutti, ma per lui è una vera sfida. Per sua stessa ammissione. Per il tipo di vettura che guida (con tutti i comandi al volante) e per le condizioni estreme del raid sia dentro (le alte temperature) che fuori dalla pista (muoversi nel bivacco con la sua carozzina), nonostante Albert abbia il permesso di essere seguito da strutture particolari per dormire e lavarsi. Un’impresa che Llovera ha portato avanti con l’aiuto del co-pilota Alex Haro e soprattutto con il sorriso sulle labbra, anche nelle difficoltà tra avarie meccaniche e un contatto nelle prime tappe. “Non ci sono limiti, ma limitazioni” continua a ripetere parafrasando il titolo del suo libro del 2011 “No limits”. Un atteggiamento che gli ha fatto guadagnare il rispetto dei colleghi, come Carlos Sainz e Cyril Despres. Ma per Albert, ambasciatore dell’Unicef, la Dakar potrebbe essere solo un passaggio, magari verso altri sport, come i Giochi Paralimpici invernali del 2018.

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