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Dai patrimoni senza eredi risorse per la filantropia

La proposta del presidente della Fondazione Italia Sociale: le ricchezze dei casati «estinti», che entro il 2030 supereranno gli 800 miliardi, potrebbero essere messe a disposizione del benessere collettivo

di Enzo Manes

Secondo una stima effettuata un paio di anni fa dalla Fondazione Cariplo, incrociando i dati della Banca d’Italia sulla ricchezza delle famiglie con quelli dell’Istat sulle aspettative di vita, nel 2030 la quota di patrimoni in capo a famiglie «estinte» potrebbe superare gli 800 miliardi. Una cifra da capogiro che rappresenta un’opportunità straordinaria per un intervento mirato a ridurre gli attuali, e sempre meno sostenibili, livelli di disuguaglianza nel nostro paese. Grazie a un trasferimento filantropico di ricchezza che punti a utilizzare almeno una parte di queste risorse per progetti finalizzati al bene comune. Della crescita dei patrimoni infatti non tutti gli italiani si sono avvantaggiati nella stessa misura. Al contrario: se il cittadino italiano medio è sulla carta fra i più ricchi al mondo (nel 2016 la ricchezza pro-capite era di circa 143mila euro, ben superiore alla media degli altri Paesi), la realtà è che la distanza tra le famiglie più dotate di mezzi e famiglie più deboli in questi anni è cresciuta sostanzialmente, come indica l’indice Gini.

Abbiamo una grande occasione per intervenire a favore di un riequilibrio. Per rimettere una parte della ricchezza privata a disposizione del benessere collettivo. Agendo per ridurre le disuguaglianze attraverso interventi che nascono dalla consapevolezza che oggi la struttura delle famiglie e le esigenze della società richiedono di ripensare i meccanismi che regolano il trasferimento generazionale della ricchezza. In Italia il regime delle successioni si basa su una tassazione molto bassa (tra il 4% e l’8%), che discrimina poco tra gradi di parentela e non differenzia molto tra piccoli e grandi patrimoni. Un figlio e un parente lontano godono quasi degli stessi diritti, anche se è più che probabile che nell’attuale condizione sociale, in cui prevalgono famiglie nucleari e disperse, il legame con un consanguineo di sesto grado non sia più stretto di quello che ci unisce a uno sconosciuto. Le imposte di successione non hanno tenuto il passo con l’aumento del peso della ricchezza privata nel Paese e con la trasformazione del modello di famiglia.

Nel nostro Paese i lasciti ereditari godono di un trattamento fiscale ingiustificatamente più favorevole rispetto ai redditi da lavoro. La proposta è semplice ed equa: senza toccare il diritto dei genitori di aiutare i figli, o i propri congiunti più diretti, l’imposta di successione può essere aumentata (solo per i gradi di parentela più distanti, dal terzo in poi) fino a raggiungere un’aliquota massima del 50%. Nel caso i lasciti vengano destinati per finalità sociali l’aliquota applicata sarebbe invece quella minima. Basterebbe una maggiore progressività e un intervento sui trasferimenti a soggetti con legami di parentela più deboli per aumentare di due o tre volte le risorse filantropiche rimesse in circolo nel Paese. Una stima di 250-300 miliardi di cui potrebbe beneficiare la collettività, attraverso i progetti che le organizzazioni non profit e gli enti filantropici svolgono a favore della cultura, dell’istruzione e dell’assistenza sociale…


Stralcio dell'intervento di Manes pubblicato sul Corriere della Sera del 19 giugno. Per leggere l'articolo in versione integrale clicca qui

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