Non profit

Dai kibbutz alle cooperative la nuova economia di Israele

di Francesco Agresti

La scelta è stata causale, ma i soci vedono nella coincidenza un segnale di buon auspicio. In fondo anche loro si sentono dei pionieri, i pionieri della rinascita del movimento cooperativo israeliano.
Agli inizi di giugno a Tel Aviv sarà inaugurato il primo bar-ristorante cooperativo. Aprirà i battenti a Florentin, quartiere popolare nella zona sud della città diventato alla moda negli ultimi anni, una sorta di Soho. I soci hanno preso in affitto i locali al civico 22 di Hamashbir street, lo stesso nome della prima cooperativa nata nel 1916 in un Yishuv, gli insediamenti dei coloni ebrei degli inizi del ventesimo secolo, prima della nascita di Israele.
Pochi chilometri più a sud, a Gerusalemme, è tutto pronto per l’inaugurazione del primo coffe-shop cooperativo. Ancora più a sud, a Mitzpeh Ramon, la cooperativa di consumo Ha’gala sta mettendo alle corde i supermercati. A nord è nata da poco una cooperativa di insegnanti che ha aperto un centro dove il pomeriggio ragazzi possono essere seguiti.
Un secolo fa c’era uno Stato da costruire, oggi un’economia da rimodellare in regole e forme diverse da quelle che hanno fatto crescere a dismisura le diseguaglianze che lo scorso luglio hanno portato nelle strade e nelle piazze migliaia di persone. Una partecipazione storica definita dallo scrittore David Grossman «la rinascita della società civile israeliana». Una società che ha vissuto per anni nella convinzione di non potersi permettere il dissenso finendo così per accettare e considerare inevitabile anche la crescita delle diseguaglianze sociali.
Sull’onda di quelle proteste che animarono un’intera estate di cortei, e che hanno coinvolto ogni volta un numero maggiore di persone, stanno nascendo in tutto il Paese decine di cooperative.
«Agli inizi del ventesimo secolo», racconta Yifat Solel, avvocata che sta assistendo la nascita di molte nuove imprese, «la cooperazione era lo strumento con cui i coloni provenienti da tutto il mondo si mettevano insieme per avviare attività economiche, prevalentemente agricole, costruire villaggi dando così vita a quello che poi negli anni si sarebbe trasformato nello Stato di Israele. Oggi le cooperative nascono soprattutto su iniziativa dei più giovani, alla ricerca di un modo alternativo di fare impresa, scegliendo una forma che prevede una gestione partecipata e in cui il profitto viene reinvestito per accrescere le condizioni di vantaggio degli stessi soci».
Accampati in una delle tende che lo scorso 14 luglio spuntarono come funghi su Boulevard Rothschild, una delle vie principali di Tel Aviv, c’erano anche Yigal Rambam e Julian Feder, entrambi trentenni, una laurea in tasca e un lavoro precario con cui sbarcare il lunario. «Abbiamo sentito la necessità di fare qualcosa che fosse coerente con quello che chiedevamo: una società e un’economia più solidali», racconta Julian. «Così abbiamo deciso di dare vita a un bar ristorante cooperativo. Ci siamo dati l’obiettivo iniziale di raccogliere almeno 100 soci. Per ora siamo a 60, ma altri 30 hanno dato la loro adesione e a breve sottoscriveranno la quota sociale che è di mille Nis (circa 200 euro)».
Tre settimane fa l’assemblea dei soci ha deciso il nome (si chiamerà Bar Kayma, “Sostenibile”), i menù (solo prodotti vegani) e listini. Ce ne saranno due, uno per i soci e uno per gli altri clienti. I primi pagheranno solo il costo dei prodotti ordinati, per i secondi invece i prezzi saranno quelli di mercato. «Ad esempio», aggiunge Julian, «mezzo litro di birra costerà ai soci 15 Nis (3 euro, ndr) agli altri clienti 25 Nis. Paura di non farcela? «Sì, certo», ammette Julian, «siamo consapevoli del rischio che ci assumiamo. I tempi non sono i più adatti per avviare un’attività economica. La nostra impresa avrà futuro se saprà in grado di offrire vantaggi ai soci, i quali a loro volta sosterranno il volume delle attività innescando così un circolo virtuoso che alimenterà il giro di affari».
«Fino a qualche tempo fa», aggiunge Yifat, «quando dicevo che mi occupavo di cooperative venivo vista come una marziana. Ora non passa settimana che non riceva chiamate di persone che mi chiedono di assisterle per costituirne. C’è voglia di cambiare le cose e di farlo mettendosi in gioco».


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