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Dai campi profughi all’Italia in aereo. Come funzionano i corridoi umanitari

L’intervista ad Alberto Capannini della Papa Giovanni XXIII, che organizza le migrazioni regolari dai campi profughi. «In mancanza di documenti garantiamo noi per loro»

di Lorenzo Maria Alvaro

Come avevamo riportato, ieri (16 dicembre) è arrivata l’ufficialità del lancio, da parte della Comunità di Sant'Egidio e delle Federazione delle Chiese evangeliche, del corridoio umanitario dal Libano per i profughi siriani. Il funzionamento generale lo ha raccontatro per Vita.it Marco Dotti. Ma sul campo, tecnicamente, come avvengono i viaggi? Lo abbiamo chiesto ad Alberto Capannini della Comunità Papa Giovanni XXIII.

Come funziona un corridoio umanitario?
Il lavoro è diviso in quattro parti. In primo luogo quello che succede in Libano, poi la trattiva con lo Stato italiano, il viaggio vero e proprio e infine l’accoglienza in Italia. Io mi occupo della parte iniziale in Libano e di quella finale in Italia.

Tu però eri in Libano anche prima che nascesse il progetto…
Sì, in Libano siamo dal 2013 con l’operazione Colomba. Siamo in un campo profughi e viviamo lì da un anno in tenda per proteggere queste persone che sono spesso minacciate. Ci occupiamo di documenti, accesso alla sanità, e tante altre problematiche e bisogni. In particolare cerchiamo di facilitare la convivenza con i libanesi.

E l’idea delle migrazioni regolari come è nata?
Vivendo lì con loro ci è stato chiaro sin da subito che questo milione di persone in Libano non ha futuro. Siccome però non possono neanche tornare in Siria perché vorrebbe dire andare a fare la guerra bisognava trovare una soluzione. Quando questa gente ha cominciato a scappare in Libia e prendere il mare alla volta di Italia e Grecia, com’è noto a tutti, abbiamo immaginato che l’unica strada percorribile fosse rendere i flussi migratori “legali” aprendo un canale umanitario.

Tornando al suo lavoro, come inizia l’iter in Libano?
Mi sono occupato personalmente di svuotare un campo profughi. Il funzionamento è molto semplice. Chi ci chiede di partire da un campo profughi viene inserito nel percorso. L’unica selezione che facciamo riguarda tre categorie di persone: quelli che cercano di partire, chi ha famiglie con situazioni di disabilità, e chi avrebbe una buona capacità di integrarsi in Italia. In questo momento sono pronte a partire di 70 persone. Non ci sono altre difficoltà burocratiche o di selezione perché queste persone le conosciamo bene, viviamo con loro ormai da anni.

E per i documenti come si fa?
Per i documenti, visto che per la maggioranza sono persone senza passaporto, ci affidiamo ai documenti dell’Onu e garantiamo noi per loro.

Non c’è il rischio di infiltrazioni terroristiche?
Nessuna. Non c’è nessuno tra loro che abbia velleità o interessi integralisti.

In Italia invece cosa accade?
Per spiegarlo bisogna prima fare una precisazione. Il canale umanitario è attivato attraverso degli sponsor, non c’è l’intervento dello Sprar. Gli sponsor in questo caso sono tre: Caritas Reggio Emilia, Migrantes Torino e Caritas Provincia di Trento. Il viaggio aereo invece è pagato dai fondi delle chiese evangeliche. Quindi i migranti una volta arrivati in Italia saranno presi in carico dalle tre realtà sponsor dell’iniziativa. Saranno tre gruppi di 20/30 persone per realtà caritativa.

Quali sono state le difficoltà più grandi che avete incontrato?
Fino ad ora la durata della trattativa con il Governo italiano. È durata mesi e intanto questa gente è rimasta i un limbo totale. Al limite della sopravvivenza. Fare fronte ai loro bisogni e convincerli a non prendere il mare, farli avere fiducia in noi è stata la cosa più complicata.

C’è altro che volete fare per queste persone?
L’ultimo tassello del nostro intervento, quello che vorremmo fosse la conclusione della nostra assistenza nei loro confronti, è riuscire a portare la loro voce ai colloqui di pace che si provano a fare a Vienna. Sarebbe importante far parlare anche chi ha rifiutato la guerra, non solo chi la guerra la sta facendo.

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