Non profit

Dagli anticipi bancari alle reti di solidarietà. La dura vita dei creditori delle PA

di Maurizio Regosa

Lavorare oggi e incassare chissà quando. I ritardi con cui la pubblica amministrazione onora i suoi debiti stanno mettendo in ginocchio imprese e cooperative, costrette ad aspettare sempre più a lungo e a far aspettare, a loro volta, fornitori e lavoratori. Ma come si fa a vivere senza stipendio?

Kit di sopravvivenza
«Si fa, sino a un certo punto, ovvio, ma si fa», risponde Fabrizio, 51enne romano. Lavora nel sociale dal 1987 e di lentezze ne ha viste parecchie. Mai però come oggi. «La mia cooperativa riesce a pagarci, facendo i salti mortali, facendosi anticipare le fatture. Quella in cui lavora la mia compagna, però, non ce la fa: lei non ha lo stipendio da tre mesi». Dunque? «Quindi stiamo attenti, attentissimi. Per fortuna la casa è di proprietà: se avessimo dovuto pagare anche un affitto non credo che ce l’avremmo fatta…». Non è facile vivere in tre (lei ha un figlio da un precedente matrimonio) con soli 850 euro al mese (che è quanto prende Fabrizio).
È una difficoltà temporanea, va bene, però provateci voi. «Quando succede, smetti di pagare le bollette di gas ed elettricità. Accumuli le spese condominiali. Ritardi ad aggiustare la macchina, fino a che non ne fai del tutto a meno. Magari non compri più le sigarette e le sostituisci col tabacco che è meno caro». Sono mille e uno gli stratagemmi presenti nel kit di sopravvivenza del cooperatore sociale. Quello che guadagna 6, 7 euro all’ora e si trova a doverli aspettare anche per mesi. Perché i ritardi della pubblica amministrazione hanno superato ogni livello di guardia…
Tristi primati
A Napoli, sono arrivati addirittura a 41 mesi. Un record che può farsi calvario: lavoratori in affanno perché non percepiscono lo stipendio, cooperative che si fanno anticipare (a spese loro) le fatture dalle banche e un finale che naturalmente non sempre è lieto: può sfociare in uno stillicidio di servizi costretti prima al lumicino e poi alla chiusura. Un dramma che la Campania condivide con molte regioni del Sud: con la Sicilia, dove la situazione è «disastrosa», come ricorda Angela Maria Peruca di LegacoopSociali, e con la Calabria, dove si aspettano i pagamenti anche per 15 mesi e oltre. Quando arrivano, non si sa più quando sono stati fatturati: «Abbiamo ricevuto dei soldi nel mese di ottobre. Poi basta». Con risorse che arrivano con il contagocce, Mario Alberti, presidente della cooperativa Rinascita, manda avanti due comunità riabilitative. La 26 Agosto, invece, è ferma a settembre: «Dopo quei versamenti, più nulla. Ovviamente a nostra volta abbiamo avuto difficoltà a pagare prima i fornitori, poi i lavoratori», sottolinea la vicepresidente Maria Iacopino.
Un effetto domino che sta risalendo la penisola: «I ritardi», conferma Claudia Fiaschi, presidente del gruppo Cgm, «sono un problema generale: ovunque gli enti pubblici sono in difficoltà e coinvolgono anche le cooperative».

Il contagio
A faticare oggi e riscuotere chissà quando si sono dovuti abituare anche al Centro e al Nord. In Abruzzo, Emilia Romagna, Veneto, Piemonte. A Firenze come a Piacenza e a Torino, città in cui ormai «le Asl hanno sfondato il tetto dei 360 giorni di ritardo perché», spiega Fabrizio Ghisio, direttore di Confcooperative, «la Regione non trasferisce le risorse». Costringendo a salti mortali. «Abbiamo fatto di tutto», premette Gabriele Gilardi, che guida a Cuneo il consorzio Nuovi Orizzonti (raccoglie dieci cooperative sociali in cui operano 700 soci lavoratori), «ci siamo fatti anticipare le fatture, abbiamo ceduto i crediti. Ciò nonostante abbiamo un arretrato di circa 4 milioni». Un’enormità su un fatturato aggregato di 6,5 milioni. Immaginatevi le spese finanziarie. «Ormai sono costi che inseriamo nei bilanci previsionali», spiega Gilardi. E però non sono spese di produzione. Sono balzelli selvaggi, capaci di mettere in ginocchio qualunque struttura perché non c’è modo né di quantificarli in anticipo né di recuperarli poi. A Torino, ad esempio, la cooperativa Cilte è in grande difficoltà. Fa molta assistenza domiciliare ad anziani e disabili e un po’ di telesoccorso, ma è allo stremo: «Siamo indebitati con varie banche e su 2 milioni di fatturato dobbiamo ricevere un milione di pagamenti arretrati». È arrabbiata la presidente Francesca Bombara, e al tempo stesso amareggiata: «Ora stiamo valutando, confrontandoci con i sindacati. Alcune iniziative sono molto spiacevoli, ma non abbiamo scelta».

Come tutelarsi?
Bisogna pur cercare di difendersi, se gli stipendi non arrivano. «I soci e dipendenti sono costretti a fare molti sacrifici», ammette Alberti, «per quanto si cerchi di trovare soluzioni di self help. Di recente abbiamo autorizzato alcuni a usare il furgone della cooperativa. Un piccolo aiuto, certo». Del resto i lavoratori fanno quel che possono: chiedono prestiti, si appoggiano alle reti familiari. Anche le organizzazioni però sono alla ricerca di soluzioni. Da quelle interne (in Veneto i soci della cooperativa Castel Monte si sono decurtati la tredicesima) a quelle un po’ più strutturali.
Le grandi realtà ad esempio organizzano una bancabilità di gruppo (è il caso del consorzio Gesco che si è fatto garante per le associate). Oppure attivano una sorta di solidarietà fra cooperative: «Quelle che sono meno in difficoltà», spiega Gilardi, «vanno in soccorso delle altre. Nello stesso tempo stiamo discutendo su quali strategie adottare per riequilibrare i committenti pubblici e privati». Un problema autentico: sono ancora troppe le cooperative che “dipendono” dalla committenza pubblica e da pagamenti temporalmente più che incerti. «Sono in corso alcuni tentativi di Cgm Finance e Confcooperative», puntualizza Fiaschi, «per creare garanzie collettive». Molto adoperata, in tutta la penisola, la soluzione dell’anticipo fatture. Che qualche problema, però, lo presenta. «A Roma, dove i criteri di pagamento non sono sempre trasparenti», esemplifica Ruggero Signoretti, presidente della coop Apriti Sesamo (ha fatture inevase anche da nove mesi),


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