Giustizia internazionale

Da Trump a Tajani, da Putin a Netanyahu, ecco a chi non piace la Corte dell’Aja e perché

La vicenda del criminale libico Al Masri, scarcerato in un fiat e rimpatriato con volo di Stato, dimostra il ritorno di The Donald alla Casa Bianca e gli immediati decreti contro la Corte penale internazionale e chi la aiutasse, sta cambiando pesantemente il clima intorno a quell'organismo. Fra i 125 Paesi che hanno sottoscritto lo Statuto di Roma non figurano Usa, Federazione Russa, Cina e India

di Paolo Bergamaschi

«La Corte penale internazionale ha causato un danno tremendo alla propria credibilità globale», ha affermato il nuovo Segretario di Stato americano, Marco Rubio, nel corso dell’audizione di conferma al Senato lo scorso 15 gennaio riferendosi al mandato di arresto emesso dai giudici nei confronti del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu accusato di crimini di guerra e crimini contro l’umanità.

Per Rubio si è trattato di un test di prova utilizzato dai procuratori dell’Aja per verificare la possibilità di inquisire anche i rappresentanti di Paesi, come gli Usa, che non hanno ratificato lo statuto che nel luglio del 1998 a Roma ha istituito la Corte. Pochi giorni prima era stata la Camera dei rappresentanti ad adottare un disegno di legge che incarica il presidente di congelare i beni e negare il visto a qualsiasi cittadino straniero che abbia contribuito agli sforzi del tribunale per «indagare, arrestare o perseguire una persona protetta».

Fra decine di ordini esecutivi
firmati da Trump appena insediato

Per persone protette si intendono tutti gli attuali ed ex funzionari degli Stati Uniti e degli alleati che rifiutano la giurisdizione della Corte, come Israele. Non è stata affatto una sorpresa, quindi, che fra le decine di ordini esecutivi firmati da Donald Trump subito dopo l’insediamento, ce ne sia uno che riguarda proprio la Corte penale internazionale Cpi ripristinando le norme contro i giudici dell’Aja che lui stesso aveva deciso durante il suo primo mandato.

Peraltro, a novembre, invece, era stato un tribunale di Mosca a chiedere l’arresto di Reine Alapini-Gansou,il secondo vice-presidente della Cpi che, nel marzo del 2023, aveva emesso un mandato di cattura nei confronti di Vladimir Putin. Che non corra buon sangue fra l’organo giudiziario internazionale e le grandi potenze è evidente: nessuna di queste ha ratificato lo Statuto di Roma. Sono 125 gli stati che l’hanno fatto ma fra loro non figurano né gli Usa, né la Federazione Russa, né la Cina, né l’India, ovvero la metà circa della popolazione del globo. Unica fra gli attori importanti a sostenerlo è l’Unione europea che fino ad oggi ha sempre posto al centro delle relazioni esterne la questione della giustizia internazionale e della lotta all’impunità al punto da inserire l’adesione alla Corte fra i requisiti per i Paesi candidati all’allargamento. Non è casuale che il centoventicinquesimo membro, l’ultimo in ordine di tempo ad aderire alla Corte, sia stata proprio l’Ucraina per anni recalcitrante in materia nonostante le pressioni di Bruxelles.

L’accordo con l’Unione europea
e le parole del titolare della Farnesina

Va sottolineato che nel 2006 la Ue ha concluso con la Corte penale un accordo di assistenza e cooperazione con il quale si impegna a incoraggiare i Paesi membri a versare il loro contributo al bilancio della Cpi e a sostenere lo sviluppo della formazione per giudici e pubblici ministeri nelle attività connesse. A questo ha fatto seguito nel 2011 l’adozione di un piano di azione per il coordinamento delle attività dell’Ue per attuare gli obiettivi di universalità e integrità dello Statuto di Roma e l’indipendenza della Cpi.  Il 17 luglio, data in cui nel 1998 venne adottato lo Statuto di Roma, i 125 Paesi membri celebrano ogni anno la Giornata internazionale della giustizia penale.

Nel 2019 fu l’italiana Federica Mogherini, a quell’epoca Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza Comune, a ribadire per conto dell’Ue il sostegno al sistema di giustizia penale internazionale e in particolare il costante impegno a favore della Cpi, nell’ambito del più ampio impegno europeo per un ordine internazionale basato su regole impegnandosi a utilizzare tutti gli strumenti di politica interna ed estera per sostenere la lotta contro l’impunità e per cercare la giustizia, come elemento centrale per raggiungere una pace e una sicurezza sostenibili che ricostruiscano la fiducia e la riconciliazione tra le comunità colpite.

Suonano, pertanto, inquietanti le parole del ministro degli Esteri Antonio Tajani, ex presidente del Parlamento europeo e ex vice-presidente della Commissione europea, che rappresenta sia un paese fondatore dell’Ue che il paese dove è nata la Cpi. «La Corte penale internazionale non è la bocca della verità», si è giustificato dopo la scarcerazione del libico Al Masri, sul quale pendeva un mandato di arresto della Corte per crimini di guerra e crimini contro l’umanità.

Fra la lotta ai trafficanti di esseri umani e il cedimento ai loro ricatti pur di fermare i migranti il passo è breve. A uscirne vincitori sono, senz’altro, i primi mentre la democrazia italiana alza bandiera bianca.          

Nella foto di apertura, di AP Photo/Phil Nijhuis/LaPresse, una seduta a L’Aja nel luglio scorso.

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