Non profit
Da Trieste sfida per l’integrazione
Un seminari internazionale organizzato da Mcl. Il bilancio della prima giornata
I Balcani non sono più di moda. Certo, i riflettori che si erano accesi nel corso dei conflitti degli anni Novanta si sono spenti fortunatamente. Ancora però non è si è risvegliata una giusta ed equilibrata attenzione nei confronti di questa zona non più attraversata dal furore bellico e tuttavia non ancora affrancata dal passato. Usciti dalle prime pagine, i Balcani hanno continuato ad essere zone problematiche con le quali l’Unione Europea non ha saputo intrecciare un dialogo continuo e fecondo.
Un seminario di riflessione
È questo il senso del seminario internazionale organizzato dal Mcl (in collaborazione con il sindacato Napredak, Feder.Agri ed Eza) apertosi nel pomeriggio a Trieste. Già il titolo la dice lunga: U.E. e Balcani: sfide per l’integrazione in Unione Europea e dialogo sociale. Quale il posto della “polveriera” balcanica nell’Unione Europea? Quali le reali possibilità di dialogo e confronto (un dialogo e un confronto che da politico si fa subito religioso)?
È toccato, dopo i saluti non formali dell’arcivescovo di Trieste, monsignor Giampaolo Crepaldi (che ha sottolineato l’impegno della Chiesa a favore del dialogo), a Carlo Costalli, presidente di Mcl, sottolineare nella sua introduzione l’importanza del dialogo e della cooperazione per superare «le conseguenze materiali e spirituali di un periodo conflittuale e far sì che le popolazioni balcaniche comprendono che devono rimodellare il loro destino». «Senza i paesi balcanici non c’è vera Unione Europea». Tutti d’accordo, ma come arrivarci?
Balcani anacronismo storico?
Una risposta l’ha abbozzata Vittorio Emanuele Parsi, docente della Cattolica di Milano. Nel momento in cui l’Europa (con il crollo del muro di Berlino) si accingeva a salutare il “secolo breve”, i Balcani hanno recuperato alcuni miti (della terra, del sangue, nella loro accezione ottocentesca) e portato avanti una politicizzazione dell’identità. Una posizione anacronistica, appunto. Nei confronti della quale l’Unione europea non ha saputo elaborare una risposta politica condivisa. Certo si sta ragionando sull’integrazione dei paesi balcanici e di sicuro la politica di allargamento dell’Unione dovrà continuare. Con alcune attenzioni, però, ha sottolineato Parsi: «sarebbe sbagliato fare entrare i paesi balcanici gradualmente consentendo a chi entra prima di esercitare il diritto di veto nei confronti degli altri. Va sospeso quel diritto in modo da consentire a tutti di fare un percorso di integrazione reale». Una scelta politicamente efficace ed efficiente che consentirebbe di incassare ancora una volta quel risultato che ha caratterizzato l’ingresso nell’Unione da parte di quei paesi ex comunisti, ovvero la irreversibilità storica dei processi di democratizzazione.
Bosnia nell’Ue entro il 2014?
Un punto politicamente rilevante, come ha sottolineato anche Franjo Topic, presidente di Napredak, sindacato della Bosnia Erzegovina, al termine del suo intervento che ha tratteggiato la situazione anche storica della regione: «il comunismo ha annullato le differenze religiose ed etniche. Poi il nazionalismo è stata l’unica ideologia possibile». Dagli anni Novanta, però, è anche bene guardare in avanti, puntare al futuro nella consapevolezza che «senza la Bosnia, l’Unione non sarà mai completa»: «è ragionevole pensare che entro il 2014 la Bosnia sarà nell’Unione europea».
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