Mondo

Da Tel Aviv a Hebron: viaggio alla ricerca della pace

Anticipazione. Francesca Ciarallo ha viaggiato in Israele e nei territori. E' tornata da poco e su VITA non profit magazine, in 4 puntate, vi proponiamo il suo diario. A partire dal numero in edicola

di Redazione

S i sta muovendo qualcosa» è il titolo di un articolo uscito sul quotidiano Ha?aretz dell?israeliano Uri Avnery, cofondatore di Gush Shalom, uno dei gruppi pacifisti israeliani più conosciuti. Quando vado a trovarlo nella sua casa di Tel Aviv con la vetrata sulla meraviglia del mar Mediterraneo, lo trovo stanco e depresso per l?escalation di violenza. Secondo lui la ?soluzione finale? di Sharon è chiara: distruggere i palestinesi, soprattutto l?Autorità nazionale palestinese e Yasser Arafat, decretando la fine di ogni sogno di uno Stato palestinese e costringendo i palestinesi a ritirarsi in isole-ghetto all?interno del territorio israeliano (l?ipotesi migliore!) o addirittura espellendoli in Giordania. E, mi dice, per far questo Sharon si serve della sua ?prostituta? Shimon Peres: da una parte Peres fa finta di voler negoziare la pace, dall?altra l?esercito limita ogni libertà, bombarda, uccide. Da ciò, secondo lui, si potrebbe tentare di uscire solo con una presa di posizione europea contro il governo israeliano, un embargo economico, politico, culturale.

Sempre più radicali
Abbiamo incontrato molti gruppi pacifisti israeliani e abbiamo la sensazione che le posizioni sia pur radicali di Avnery siano condivise da buona parte di loro. In Israele il movimento pacifista si divide in due blocchi: uno anticoloniale e contrario all?occupazione, di cui fanno parte associazioni come Gush-Shalom, New Profile, l?Icahd-Israeli committee against house demolition, Donne in nero, Check point watch, l?Aic-Alternative information center; l?altro blocco, formato essenzialmente da Peace Now, è più istituzionale e ne fanno parte anche il partito laburista e il Meretz (partito di sinistra). Quest?ultimo blocco non ha preso posizione su Gerusalemme e crede che non tutti gli insediamenti vadano smobilitati. Fino a non molto tempo fa, era anche il più popolare, ora sta perdendo colpi a favore di posizioni più radicali.
Alcune persone in particolare sono state importanti per darci una chiave di lettura di una realtà sfaccettata e complicata, persone alle quali ci siamo affezionati, cui siamo ricorsi nei momenti di scoraggiamento, quando arrancavamo in un mondo che tante volte avevamo creduto di comprendere, semplificandolo. Pia illusione.

Le case distrutte
Jeff Harper è il coordinatore dell?Icahd. Uno dei problemi dei palestinesi è la demolizione delle case da parte dei tanks israeliani, che arrivano con ordini di demolizione burla, e non danno neppure il tempo di prendere gli effetti personali (una delle scene che più mi hanno ferito è stato vedere bambini dagli sguardi persi giocare tra le macerie delle proprie case da poco distrutte). Jeff e i volontari dell?Icahd danno assistenza legale a queste persone e vanno fisicamente a interporsi in modo nonviolento quando hanno notizia di una demolizione. Per lui è importante collaborare con gruppi palestinesi, e non mettersi in una posizione di superiorità come spesso succede alle associazioni israeliane, ma stare in un certo senso al loro servizio. Insieme con Michail Warchawski, Jeff ha fondato l?Aic-Alternative information center, l?unica realtà israelo-palestinese che abbiamo incontrato, con sede a Betlemme e Gerusalemme. Sergio Yahn ne è il condirettore: rimaniamo a parlare con lui per ore (pochi giorni dopo sarebbe stato arrestato, per la sua obiezione al servizio militare). Ci illustra la situazione dal suo punto di vista, con molta chiarezza. In Israele c?è un governo di coalizione che va dai laburisti di Peres all?estrema destra. Ha una forte crisi interna, alla quale reagisce creando un conflitto esterno infinito. La Knesset (il parlamento israeliano) è frammentata e non esiste un gruppo politico in grado di arrivare all?egemonia. L?unico modo per garantire governabilità è tenere in piedi un conflitto che eluda la politica interna.
E i problemi interni sono molti: la disoccupazione non è mai stata così alta, le politiche sociali sono deboli. Non esiste un sistema repubblicano, del tipo ?un uomo, un voto?, ma i diritti sono concessi in base all?appartenenza a una comunità etnica.
C?è una graduatoria: i diritti maggiori in tema di terra e assistenza sociale vengono dati agli emigranti d?Europa e d?America, chi ha meno diritti è la comunità arabo-palestinese con cittadinanza israeliana e gli ebrei tornati dal Nordafrica. Ogni comunità ha un referente parlamentare su base etnica, e sono i partiti a erogare i servizi sociali attraverso ong a loro collegate. Il problema delle associazioni pacifiste è che non hanno un referente, per cui anche se la percezione comune è che oggi il 70% degli israeliani vogliano l?uscita dai territori occupati, questa protesta non ha possibilità di venire incanalata in un?azione concreta. In quest?impasse, Sharon sta cercando di far leva sulla paura della gente per portare a termine il suo piano di distruzione dell?Olp e la trasformazione delle zone A e B (sotto autorità palestinese) in ?autonomie light? castrando qualsiasi progetto unitario di Stato palestinese. Una volta distrutti Arafat e la sua autorità, si potrà negoziare una ?pace? fatta di accordi con piccoli dirigenti locali, creando un arcipelago di isole palestinesi scollegate e circondate da territori israeliani.
In questa logica si inseriscono anche i bombardamenti sui campi profughi, la culla delle attività nazionali palestinesi. Si attacca il popolo per farlo disaffezionare al movimento di liberazione nazionale, per isolare la gente dalla leadership. Ma non funzionerà perché l?Olp, specialmente ora, è il popolo. Allora si continua così, in una spirale senza fine, la cui unica possibilità d?uscita sta in un intervento esterno, soprattutto dell?Europa, l?unica in grado di esercitare pressioni economiche e politiche su Israele in quanto ne è il mercato privilegiato […]

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