Volontariato

Da Srebrenica ad Atene, un’Europa di muri anziché di ponti

di Pasquale Pugliese

Ho iniziato a scrivere queste note in un caldo 11 luglio, nel ventennale del massacro di Srebrenica; nel pieno della crisi tra la Grecia e il resto d’Europa.

Srebrenica

All’inizio di luglio del 1995, dopo innumerevoli massacri che avevano colpito tutte le parti in conflitto nella guerra di smembramento della Repubblica socialista federale di Jugoslavia, avviene a Srebrenica – con l’inerzia complice del contingente delle Nazioni Unite e della Comunità internazionale – il più grande massacro di cittadini europei dalla fine della seconda guerra mondiale. Tra l’11 e il 12 luglio, le truppe serbe si rendono colpevoli di un genocidio di circa 10.000 bosniaci musulmani, maschi dai 12 ai 77 anni, separati dalle donne e passati per le armi. La più grande e scientifica operazione di “pulizia etnica” in Europa dopo quella nazista.

Alex Langer

Alcuni giorni prima – dopo un estenuante impegno diretto di “facitore di pace” in Bosnia, dopo la notizia del massacro di 71 ragazzi bosniaci a Tuzla il 25 maggio, dopo l’appello ai capi di Stato riuniti a Cannes “L’europa nasce o muore a Sarajevo” in cui chiedeva, da nonviolento, un’azione di polizia internazionale per fermare i criminali – il 3 luglio a Firenze si toglieva la vita Alex Langer. Il suo ultimo articolo, che data 30 giugno 1995 (e pubblicato su “Azione nonviolenta” nell’ottobre successivo) si intitola “Per la creazione dei corpi civili di pace europei”, per i quali individuava i compiti seguenti.

Europa

“Prima il corpo sarà inviato nella regione, prima potrà contribuire alla prevenzione dello scoppio violento dei conflitti. In ogni fase dell’operazione potrebbe adempiere a compiti di monitoraggio. Dopo lo scoppio della violenza, esso è là per prevenire ulteriori conflitti e violenze. Nel fare ciò esso ha solo la forza del dialogo nonviolento, della convinzione e della fiducia da costruire o restaurare. Agirà portando messaggi da una comunità all’altra. Faciliterà il dialogo all’interno della comunità al fine di far diminuire la densità della disputa. Proverà a rimuovere l’incomprensione, a promuovere i contatti nella locale società civile. Negozierà con le autorità locali e le personalità di spicco. Faciliterà il ritorno dei rifugiati, cercherà di evitare con il dialogo la distruzione delle case, il saccheggio e la persecuzione delle persone. Promuoverà l’educazione e la comunicazione tra le comunità. Combatterà contro i pregiudizi e l’odio. Incoraggerà il mutuo rispetto fra gli individui. Cercherà di restaurare la cultura dell’ascolto reciproco. E la cosa più importante: sfrutterà al massimo le capacità di coloro che nella comunità non sono implicati nel conflitto (gli anziani, le donne, i bambini). Si adopererà per allertare tempestivamente e monitorare. Costantemente cercherà di trovare ed enunciare le cause del conflitto o dei conflitti”.
E’ la visione di un’altra Europa, capace di ridimensionare le spese militari che alimentano i conflitti armati e, contemporaneamente, di attrezzarsi per intervenire efficacemente nei conflitti, costruendo e manutenendo ponti, anziché muri. Con la forza mite della nonviolenza.

muri

Vent’anni dopo, mentre all’ONU la Russia – impegnata nel conflitto con l’Ucraina – si oppone a definire genocidio quello di Srebrenica, l’Europa è integralmente responsabile di un altro genocidio silenzioso, quello dei migranti che si inabbissano nel cimitero del Mediterraneo, nel tentativo di attraversare il murotra le guerre e la pace, tra la morte e la vita. Mentre a Ventimiglia è stato costruito un muro virtuale tra la Francia e l’Italia, insuperabile per i migranti che si lasciamo morire sulla scogliera, il governo ungherese decide di innalzare un muro reale di 175 chilometri per quattro di altezza lungo la frontiera con la Serbia. Il muro di Berlino, che divideva le due germanie, abbattuto dai popoli tedeschi nel 1989 era di “appena” 106 chilometri. Eppure anche la Germania – con la complicità degli organismi finanziari internazionali – ha innalzato un nuovo muro, in questo caso economico, tra la Grecia e il resto d’Europa. Cercando, di fatto, di sospendere la democrazia nel Paese ellenico – che ne ha dato all’Europa e al mondo la prima sperimentazione e la prima definizione politica – per piegarla ai diktat del Fondo Monetario Internazionale.

Grecia

Eppure, nel novembre del 2012 durante l’Assemblea della NATO svoltasi a Praga, il Segretario generale Rasmussen spiegava che i quasi 10 miliardi di euro che il governo greco aveva speso nell’anno per i propri armamenti avevano mantenuto la Grecia nella posizione di secondo paese, in proporzione, per spesa militare tra i 27 della NATO, dopo gli Stati Uniti. Eppure la Grecia più di tutti gli altri paesi europei aveva già dovuto sottoporre a tagli durissimi ogni capitolo della sua spesa pubblica civile. Negli ultimi anni i governi greci graditi alla troika hanno smantellato i servizi pubblici sociali, ma contemporaneamente hanno continuato nell’acquisto di armamenti – sottomarini, fregate, carriarmati – commissionati alle aziende belliche di quegli stessi Stati che hanno imposto i tagli, Germania e Francia, in primis. Ancora oggi, la spesa militare greca non è scesa sotto il 2,2 % di PIL, la percentuale più alta d’Europa. Un altro muro che non si vuole abbattere.

Adopt Srebrenica e Un’altra difesa è possibile

Questi vecchi e nuovi muri d’Europa non promettono niente di buono. Ma noi non possiamo che “continuare – come ci ha indicato Langer nel biglietto di addio – in ciò che era giusto”. E lo è ancora: costruire ponti e abbattere i muri. Nei giorni passati, per esempio, la Fondazione Langer ha consegnato il Premio a lui dedicato al progetto Adopt Srebrenica, il gruppo misto inter-etnico di Srebrenica che ha creato relazioni e dialogo promuovendo da 10 anni cultura di convivenza e riconciliazione tra le vittime e i carnefici, per abbattere il muro di odio ispirandosi al langeriano “Decalogo della convivenza inter-etnica”. Questa è la strada per costruire ponti. Si tratta di attrezzarsi perché ciò possa avvenire prima che i conflitti degenerino in guerre e genocidi, perché i Corpi civili di pace diventino realtà strutturale e le spese militari siano trasformate in risorse per la difesa civile non armata e nonviolenta. In Italia ci stiamo provando con la Campagna “Un’altra difesa è possibile“. Anche per non dimenticare – davvero – Srebrenica.

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