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Da ragazzo brillante a Hikikomori. Il racconto in un fumetto

Hikikomori: Il re escluso è un romanzo a fumetti che ha come protagonista un ragazzo brillante, bravo a scuola, amatissimo dalla famiglia. Felice. Finché un cambiamento non rende il suo passo incerto, al punto di chiuderlo nello spazio buio della sua cameretta

di Sabina Pignataro

Hikikomori: Il re escluso è un romanzo a fumetti scritto da Maria Sara Mignolli, autrice e docente, e illustrato da Alessandro Locati che ha come protagonista un ragazzo Hikikomori e cerca di indagare e di riflettere, attraverso la vita e le esperienze del protagonista, sulle cause e sulle motivazioni che possono spingere un ragazzo all’isolamento sociale.

Le prime pagine chiariscono subito che il giovane non ha un’infanzia traumatica. È brillante, bravo a scuola, amatissimo dalla famiglia, stimato dagli insegnanti, pieno di amici. Felice. Finché un cambiamento non rende il suo passo incerto, al punto di paralizzarlo.

«Ambientata tra l’inizio degli anni Novanta e i primi anni del 2000, racconta l’autrice, questa è la storia di un giovane Hikikomori, un ritirato sociale, e ha luogo molto tempo prima di oggi, molto prima della Pandemia». «Ci sono, e ci sono state, persone che hanno scelto volontariamente, senza nessuna costrizione, senza nessuna pandemia, di vivere in estrema reclusione, di rinchiudersi nella propria stanza senza più avere un contatto fisico con il mondo, senza più interazioni umane reali».

Perché? «La reazione al sentimento di inadeguatezza alla vita reale è la fuga dal mondo fisico e dal suo stesso corpo. Nessun essere umano dovrebbe sentirsi inadeguato… la questione non riguarda solo il singolo individuo, ma anche il contesto familiare e sociale in cui vive».

Nel racconto di un’infanzia felice e del drammatico scontro tra l’esperienza reale, vissuta attraverso la lente deformante dell’adolescenza, emerge l’immagine di un Sé troppo grande, troppo idealizzato, incapace di adattarsi al mondo.
«Il nostro protagonista – spiega ancora- rievoca un’infanzia e una preadolescenza caratterizzate dall’assenza di qualunque forma di fallimento, una vita perfetta, senza sofferenza, senza difficoltà, sostenuta da un amore materno assoluto e dall’idea che ci fosse in serbo un Grande Destino, una vita facile, piena di soddisfazioni e di successi, dove non avrebbe mai dovuto fare nessuna fatica. Ma, come spiega bene la psicanalista Laura Pigozzi con la definizione di plus materno, una tale amore eccessivo rischia di generare una forte dipendenza nel bambino, che sfocia nell’impossibilità di autodeterminarsi, di sviluppare la propria autonomia». (A proposito si legga qui l’intervento di Pigozzi “E adesso separiamoci dai nostri figli”)».

Attraverso le pagine di questo romanzo a fumetti il lettore è portato a indagare sulla vita di questo ragazzo, ci si interroga e ci interroga, al cospetto di un muto e invisibile interlocutore, esaminando le tappe fondamentali che hanno determinato progressivamente la sua rinuncia al mondo, la decisione di non uscire più di casa e di non incontrare nessuno, l’isolamento dalla sua famiglia, dalla scuola, dagli amici.

Il web che salva e che condanna

«Le pagine ci mostrano la crisi di un ego ferito e incapace di rispondere alla violenza della crescita. Vediamo il corpo che cambia, che si trasforma e non si sente preparato alla vita che lo aspetta, diventa incapace di affrontare l’esterno. Prova vergogna di sé, lo assale il dispiacere di aver abbandonato l’infanzia, e la paura verso il mondo degli adulti. Non sa assumersi responsabilità, non crede nelle sue capacità. Ma scopre che esiste un’alternativa sicura, piacevole e gratificante». Quando sembra tutto finito e inaccettabile, trova un’ancora di salvezza: il web. Un nido sicuro: il computer. Inizia a trascorrere tutto il suo tempo giocando ai videogiochi, cercando e creando nuove dimensioni, nuove possibilità.

«La reazione del nostro adolescente a quel suo corpo che percepisce inadatto perché ha tradito le aspettative, la sua risposta a un mondo che impone la bellezza e il riconoscimento sociale, è il ritiro in un mondo virtuale, la creazione di realtà fittizie che esistono solo nella rete, popolata da alter ego costruiti secondo i propri desideri», osserva la regista.

«Nello spazio chiuso della sua camera, il ragazzo è convinto di poter annullare la realtà, di cancellare la propria identità reale, creandosi un proprio affascinante spazio nella realtà virtuale, perdendosi nel multiverso della rete, dove si sente forte, vincente, bello. La notte e il giorno si confondono, la realtà virtuale lo libera dandogli un altro corpo, un’altra dimensione che lo assorbe sempre di più. Grazie alla rete, può avere la sua rivincita, trova il suo riscatto».

È l’inizio della totale reclusione, l’inizio del degrado. La sua cameretta diventa un immondezzaio caldo e accogliente in cui lui si immerge completamente. Finché accade qualcosa di inaspettato. Senza sole, senza aria la natura appassisce, il corpo fisico non può più essere ignorato. Qui, su questa soglia, ci conduce e si interrompe il racconto, nel momento in cui il giovane inizia a chiedersi, e a chiederci, che cosa sia successo al “Grande Destino” e perché sia fallito.

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In apertura, foto di Rhett Moonan by Unsplash

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