Mondo

Da Pristina a Belgrado

Gli aiuti ai profughi delle Kraijne, ai rom espulsi dal Kosovo e la paziente opera di riconciliazione etnica e di educazione alla pace dei giovani.

di Paolo Giovannelli

Dopo la fase cruciale dell’emergenza, i volontari e i cooperanti delle ong italiane superano i confini dell’Albania del Nord e del Kosovo ed entrano velocemente negli altri Stati e nelle altre regioni dei Balcani del Sud, che appaiono oggi satelliti incerti di Belgrado. In Macedonia e in Montenegro (vedi articolo a fianco) è un pullulare di iniziative di solidarietà: finalmente è possibile pensare anche a programmi di assistenza dei rifugiati e degli sfollati di tutte le etnìe, nonché ad iniziative di sviluppo di medio e lungo periodo per gli abitanti del luogo.

Entro settembre la prima missione
Ma la strada che le ong italiane vogliono presto percorrere è quella che porta in Serbia, cammino obbligato per giungere ad una reale pacificazione dell’area balcanica. Un Paese, quest’ultimo, dove internamente girovagano ancora senza meta ed assistenza, ignorati dallo stesso regime di Milosevic per il quale semplicemente o “non esistono” o “non sono rifugiati”, centinaia di migliaia di profughi serbi fuggiti dalle regioni delle Kraijne e della Slavonia occidentale ma anche da importanti città come Mostar e Sarajevo (il disastroso totale è di 1 milione e 100 mila persone). A cui continuano oggi tristemente ad aggiungersi i serbi e i rom “collaborazionisti” che hanno lasciato il Kosovo spinti dalla pulizia etnica, drammaticamente perpetrata dai kosovari di etnìa albanese sfuggiti al controllo della forza militare internazionale di interposizione Kfor. Stando alle ultime stime di Belgrado, solo dal Kosovo, sono entrati in Jugoslavia già 195 mila persone serbe o non kosovare albanesi, 177 mila secondo l’opposizione a Milosevic. Dopo i molti interventi in Kosovo, finanziati in gran parte dall’Ufficio per l’emergenza umanitaria dell’Unione europea, il Cesvi, ong con sede a Bergamo, sta aprendosi la via per la Serbia, passando prima per la Macedonia. «A Nis e a Leskovac, dove “sostano” circa 10 mila serbi sfollati dal Kosovo, faremo una prima missione entro settembre, probabilmente solo alla fine del mese», spiega il responsabile dell’ong Cesvi per i Balcani, Stefano Piziali. «La situazione politica interna non permette ancora troppa libertà di movimento». Altrimenti detto: la permanenza al potere di Slobo Milosevic ostacola seriamente gli aiuti internazionali, compresi quelli delle ong. «Del resto», continua lo stesso Piziali, «collaborare con la Croce rossa jugoslava non garantirebbe il giusto uso umanitario degli aiuti. Purtroppo, in Kosovo, abbiamo già testato l’inaffidabilità di questa organizzazione vincolata al potere di Milosevic». In Macedonia, Cesvi ha appena completato, non più di quindici giorni fa, un programma di assistenza nel campo di Cegrane, ora in via di smantellamento con il ritorno a casa dei profughi kosovari albanesi entro i primissimi giorni di ottobre. «Durante la grande emergenza, abbiamo accolto», racconta il capoprogetto del Cesvi a Skopje, Luca Veronese, 28 anni, «oltre 45 mila persone provenienti dal Kosovo. Oggi sono rimasti in 3mila».

I Centri Babilonia per la gioventù
Ma è stato a Cegrane che, in maniera particolare, i cooperanti si sono occupati della convivenza pacifica fra i giovani, promuovendo soprattutto attività culturali e sportive. A partire da tale prima esperienza, vissuta fra l’altro al fianco di altre ong italiane, Cesvi ha sviluppato, da giugno scorso, un simile ma più complesso intervento per preservare il variegatissimo ed interessante intreccio etnico di questa ex repubblica federata della ex Jugoslavia. Così, in otto città della Macedonia (Krusevo, Veles, Radovis, Struga, Kumanovo, Stip, Tetovo, Prilep) sono stati aperti altrettanti centri della gioventù, che accolgono ora 2.130 ragazzi e ragazze slavi macedoni, albanesi di Macedonia, serbi, bosniaci, valacchi, turchi e rom. «Il nostro obbiettivo», afferma ancora Veronese, «è favorire la convivenza fra i vari gruppi. L’esigenza di aumentare gli spazi di comunicazione tra tutte le minoranze è improrogabile per la stabilità dell’area, poiché i rapporti fra slavo-macedoni e albanesi-macedoni non sono mai stati idilliaci». Il titolo di questo intervento Cesvi, ora finanziato da Echo, è “Centri Babilonia”. Che molto probabilmente resteranno operativi per l’intero 2000. Al momento, vi lavorano tre cooperanti espatriati del Cesvi ed oltre ottanta collaboratori locali di tutti i gruppi etnici di sei organizzazioni non governative macedoni. «Svolgiamo attività ludiche, artigianali-educative (ad esempio, ai giovani serbi si fanno realizzare costumi tipici kosovari e viceversa, ndr) ed ecologiche, dando molta importanza alla controinformazione», aggiunge l’altra coordinatrice del programma Centri Babilonia, Stefania Cannavò, 27 anni. «In collaborazione con alcune associazioni di volontariato macedoni, lavoriamo su due fasce d’età, la prima che va dai 6 ai 14 anni e la seconda dai 14 ai 18». Ma il muro creato dalle propagande di regime, fomentatrici della diffidenza e dell’odio etnico nei Balcani, resta duro da abbattere.
Intanto, però, per il programma “Centri Babilonia”, Cesvi ha ricevuto elogi sia dall’Unione europea, sia dai vertici della Missione Arcobaleno, oltre alla riconoscenza delle autorità macedoni.

Nessuno ti regala niente, noi sì

Hai letto questo articolo liberamente, senza essere bloccato dopo le prime righe. Ti è piaciuto? L’hai trovato interessante e utile? Gli articoli online di VITA sono in larga parte accessibili gratuitamente. Ci teniamo sia così per sempre, perché l’informazione è un diritto di tutti. E possiamo farlo grazie al supporto di chi si abbona.