Famiglia
Da Pericle a Trump, passando per Dumas: alle origini delle fake news
La prima fake news della storia è una lettera mai scritta dal generale spartano Pausania, in base a cui fu considerato colpevole di alto tradimento per la sua presunta intenzione di tradire i greci per passare al servizio di Serse. Un tema attuale ma non nuovo, che ha che fare con le nostre paure più che con bot o algoritmi che spammano notizie false. Antonio Martusciello, Commissario dell'Autorità per le Garanzia nelle Comunicazioni, è autore del recente “Il caos dell’informazione”, qui recensito da Maria Vella
di Maria Vella
Le fake news, concetto in voga nella realtà odierna, comprende informazioni non documentate né documentabili che, diversamente dalle notizie vere, formano mentalità ed impongono opinioni. Ma se le piattaforme digitali, primi fra tutti Facebook, Twitter e Google, per la rapidità della comunicazione e circolazione delle fake news, sono i principali imputati dell’esplosione e dell’amplificazione del fenomeno, il tema ha radici profonde.
Sull’argomento si possono rintracciare riflessioni sin dall’epoca greca e romana: quindi si tratta di un termine solo apparentemente moderno che, in realtà, affonda le radici già nell’antichità (come ribadito nel 2008 da L. Canfora in Filologia e libertà), con l’analisi della lettera, riprodotta da Tucidide nel primo libro della “Guerra del Peloponneso”, nella quale il generale spartano Pausania fu considerato colpevole di alto tradimento per la sua presunta intenzione di tradire i greci per passare al servizio di Serse, il gran re dei persiani. La verosimiglianza della lettera prevalse sul lecito dubbio della sua eventuale veridicità. Fin qui siamo nell’ambito della corrispondenza privata, ma nella storia possiamo trovare altre esempi di notizie false, come quelle che colpirono indirettamente Pericle, uno dei personaggi più significativi della storia politica ateniese e stratego della città con meriti grandissimi ma, anche responsabile di aver avviato e perseguito con tenace ostinazione la guerra fratricida contro Sparta. In quell’epoca vi furono una serie di processi che colpirono le persone a lui vicine (nei confronti della sua donna Aspasia, contro lo scultore Fidia o il il filosofo ionico Anassagora) con l’esplicito obiettivo di danneggiare politicamente Pericle, modalità favorita dalla commedia attica che, non era semplicemente la libertà di dire tutto ma, la quasi sfrenata e incontrollabile libertà di parola per la quale a tutti era lecito affermare qualcosa, registrando gli umori della città e facendosene portavoce.
Nel succedersi del tempo e percorrendo la letteratura si nota, poi, che si modifica il sistema di comunicazione con cui si trasmettono le false notizie.
Nel corso dei secoli successivi, infatti, in un romanzo di W. Scott ambientato in Scozia (L’Antiquario), viene riportato un episodio avvenuto nel 1804, quando per l’errore di una guardia costiera si sparse la voce che le truppe di Napoleone stessero sbarcando in Inghilterra. Nel 1844, l’intricata trama del Conte di Montecristo di A. Dumas prevede la diffusione di una notizia falsa, perché il soggetto che la propaga è ignaro del contenuto del messaggio, comportandosi come un algoritmo, cioè indifferente all’identità e al suo significato. Anche J.R.R. Tolkien nel Signore degli Anelli (1955), riporta che l’accensione di un fuoco come segnale convenuto, scatenò il panico nonostante il falò fosse stato involontariamente allestito in piena notte. Si tratta quindi di un rischio che aumenta con l’aumentare della complessità nelle comunicazioni.
Ai nostri giorni il termine ha valicato i confini spazio-temporali, tanto che l‘autorevole Collins Dictionary ha definito, nel 2017, le fake news come “espressione dell’anno” dopo che, a livello mondiale, se ne è iniziato a parlare sistematicamente dal 9 novembre dell’anno precedente, giorno dell’elezione di Trump che ha utilizzato, poi, il termine per attaccare la stampa. In Europa l’attenzione è stata posta nell’aprile 2017, in seguito alla presentazione, alla discussione e all’approvazione della legge tedesca anti-notizie false e anti-hate speech online; mentre in Italia il dibattito è, inevitabilmente, in continua crescita, visto che il termine è impiegato per definire una vasta gamma di contenuti ingannevoli, inequivocabilmente falsi ma ugualmente capaci di creare divisioni e contrapposizioni, perché in grado di agire sui sentimenti elementari e immediati dell’uomo, come la paura, l’odio, l’interesse e la prepotenza, nonostante siano celati nell’anonimato.
Il più delle volte è, infatti, difficile, se non impossibile, conoscere gli autori delle fake news. Noi non conosciamo i “signori della Disinformazia” (termine di origine sovietica e titolo di uno scritto polemico di F. Nicodemo, tutt’altro che rassicurante sugli effetti che circa un decennio di social media ha avuto sulla nostra credulità) ma, di sicuro, loro conoscono noi: le nostre paure, i nostri pregiudizi, il malessere collettivo, propagandosi velocemente soprattutto grazie ai grandi colossi della rete che favoriscono una maggiore ricerca e diffusione delle informazioni. Ma, a prescindere dal fatto che Facebook e gli altri media sono un acceleratore formidabile, il punto di partenza rimane che si crede a quello in cui già prima si voleva credere.
Il più delle volte è, infatti, difficile, se non impossibile, conoscere gli autori delle fake news. Noi non conosciamo i “signori della Disinformazia” ma, di sicuro, loro conoscono noi
La paura, in questo senso, è una componente essenziale del processo (come già percepito dallo storico francese M.L.B. Bloch nel 1921). Ai nostri giorni, si tratta di un fenomeno che sta crescendo esponenzialmente, basti avviare una ricerca su Google Trends per confutare questa realtà: dall’ottobre 2016 le interrogazioni sul motore di ricerca con il termine «fake news» sono diventate ricorrenti, per poi esplodere nel mese successivo e mantenersi a livelli elevati fino ai nostri giorni. In altri termini, la deliberata creazione e diffusione di informazioni false (la disinformazione) e la condivisione involontaria di informazioni false (la misinformazione, che secondo una ricerca dell’Osservatorio New-Italia, nel 2017 ha coinvolto il 53% degli italiani), ha sicuramente varcato i nostri confini e quelli del marketing politico e della propaganda, venendo condivise e commentate forse più delle notizie pubblicate online dai media tradizionali, diffondendosi come un virus sulle notizie senza verificarle. Mentre Facebook e Google sono alle prese con la necessità di porre un freno alla circolazione di notizie false sulle loro piattaforme, intervenendo sui loro algoritmi per abbattere la visibilità di portali che mentono sulla loro origine e finalità (Google) o dei post costruiti solo per ottenere clic (Facebook) è sempre più difficile e pericoloso decidere chi debba diventare arbitro della verità, una circostanza che Martusciello conosce bene e con cui si scontra quotidianamente.
Il volume Il caos dell’informazione affronta appunto il dibattuto e moderno tema dei rischi e delle insidie degli attuali sistemi di comunicazione e dei social media, che Martusciello affronta con sagacia e competenza, anche per l’esperienza diretta all’interno dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni. La versatilità e la completezza del libro mi esonerano dal dedicare del tempo ai contenuti, rimandando il lettore alla lettura degli stessi per acquisire una conoscenza specifica dell’argomento; d’altra parte, soltanto la conoscenza può permettere di avanzare opinioni personali e selettive e, conseguentemente, di fare delle scelte consapevoli. Lo scorrere dei quattro capitoli del volume di Martusciello affrontano in maniera approfondita e risolutiva (per alcuni aspetti), le tematiche che abbiamo segnalato, cercando delle soluzioni all’insidia degli algoritmi, fornendo una bussola per l’intricato pluralismo informativo e tentando di offrire al lettore un orientamento consapevole, per affrontare l’attuale caos dell’informazione. È quindi destinato ad un target variegato, che oscilla dai giovani (che ahimè leggono poco, ma potrebbero essere attratti da questa lettura, veloce ed avvincente) agli esperti, che potranno meglio interpretare il gioco di informazione e controinformazione e ad operatori del settore, che potranno trarne utili dettagli per navigare consapevolmente ed avere conoscenza degli interventi istituzionali sul tema.
* Maria Vella è docente in Economia e gestione del Terzo settore all’Università di Siena.
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