Cittadinanza attiva
Da Nord a Sud: quando l’attivismo per l’ambiente e i diritti sociali è mamma
Si ispirano al principio del "lottare curando" e sotto il nome di "Mamme da Nord a Sud" formano una rete di oltre 60 associazioni. Da Taranto ai Pfas ecco come sono organizzate e come si battono
Sta emergendo sempre più forte, in Italia, la voce delle donne che vivono nei luoghi più contaminati, madri che vedono i figli ammalarsi per il profitto di pochi. Donne che denunciano l’inquinamento, spesso scontrandosi contro il muro di gomma dell’omertà istituzionale. È questa la Rete delle Mamme da Nord a Sud, un network orizzontale di oltre 60 associazioni sparse nei territori, che portano avanti quello che nei movimenti francesi dei soulèvements de terre si chiama “lottare curando”. A partire da problematiche locali questi comitati di cittadinanza attiva fanno rete e denunciano un sistema tossico che depreda la terra e fa ammalare i corpi (di ogni essere vivente, a partire dai più piccoli e fragili). Non solo mamme biologiche ma ogni donna e anche uomini. Il concetto di madre non è infatti biologico, implica la cura della terra, e la resistenza della vita ad una logica mortifera, in una resistenza che è intersezionale e intergenerazionale.
La rete della Mamme da Nord a Sud nasce nel 2019, a partire dall’incontro delle donne di Taranto, città sacrificio, dove le emissioni dell’acciaieria ex Ilva da decenni ammorbano la vita degli abitanti, con le mamme No Pfas del vicentino, dove la falda acquifera più grande d’Europa (e il sangue degli abitanti) sono stati contaminati dai temibili Pfas “inquinanti eterni”, cancerogeni e interferenti endocrini prodotti dall’azienda chimica Miteni, ora sotto processo. La rete H20 di Pescara, che lotta per l’acqua e contro la contaminazione delle falde (a Bussi sul Tirino c’è una gigantesca area contaminata) ha spinto per la nascita di una rete di madri, su modello della lotta delle madri di Piazza di Maggio in Argentina e delle donne indigene. Già l’8 marzo 2018 il Premio Donne Pace Ambiente Wangari Maathai, alla sua settima edizione, organizzato dall’associazione A Sud, aveva fatto incontrare vari gruppi di donne. Oltre alle Mamme No Pfas vicentine, anche le donne dell’osservatorio Val d’Agri in Basilicata terra sacrificata all’estrazione del petrolio, le mamme No Tap che hanno lottato contro i cantieri del mega gasdotto nel Salento, e le donne di Colleferro che hanno impedito la realizzazione di un inceneritore. Via via si sono aggiunti altri gruppi, lotte, storie da ogni angolo d’Italia.
A Piombino nel 2022-2023 le manifestazioni contro il rigassificatore erano composte al 90% da donne tanto che fu chiamata «la rivolta dei passeggini». Nella rete ci sono le mamme di Brescia, uno dei tanti Sin (siti di interesse nazionale ai fini della bonifica) d’Italia, dove la Caffaro, azienda chimica, ha per decenni sversato reflui contaminati nelle rogge (canali) contaminando con Pcb, mercurio e diossina ogni elemento, risalendo fino al sangue umano e al latte materno. Le donne vedono i figli ammalarsi, si incontrano in ospedale o dai pediatri e iniziano a coalizzarsi. Una terra, quella bresciana, definita anche terra dei buchi per le innumerevoli cave, poi riempite di rifiuti più o meno tossici. Le mamme si definirono “volanti” e con un piccolo biplano mostrarono con video e foto lo scempio della terra. «Qui lo scempio è socialmente accettato, considerato moneta di scambio per il benessere» sussurra Raffaella Giubellini, pasionaria che non si è mai arresa e fa parte di più comitati. Recentemente si sta impegnando insieme a tante e tanti attivisti per salvare il fiume Chiese, (già al limite di sopravvivenza per continui prelievi) dove saranno convogliati gli scarichi del depuratore del lago di Garda con un faraonico e impattante progetto. Il “presidio 9 agosto” ha da tempo proposto alternative più ecologiche per risolvere il problema dell’inquinamento del lago di Garda senza sacrificare il fiume Chiese, e al contempo per mille notti e giorni ha resistito il presidio (colorato e pacifico) sotto la prefettura di Brescia. Ora cittadine e cittadini stanno sensibilizzando la popolazione dei paesi del lago di Garda.
Un filo rosso di solidarietà lega le madri bresciane alle madri della Terra dei fuochi, tra Acerra, Napoli e Caserta dove negli anni 80 la camorra interrava rifiuti tossici della Caffaro (e di molte altre aziende del nord) nei campi, innescando una bomba chimica che ancora semina morte e vittime innocenti. Inceneritori di rifiuti, impianti chimici che fabbricano pesticidi o altre molecole tossiche, petrolchimici, acciaierie, cementifici. Ovunque questi impianti hanno assediato i territori lasciando una scia di siti contaminati, in tutto ce ne sono 46 secondo l’Ispra ma il dato è sottostimato perché ad esempio le zone contaminate dai Pfas non sono ancora Sin.
«Milioni di persone vivono in aree altamente contaminate, in condizioni di inquinamento inaccettabili per un paese civile» denuncia l’Isde commentando lo studio Sentieri 2023. «Ogni anno muoiono oltre 1.700 persone in più rispetto all’atteso per malattie legate all’inquinamento, morti evitabili se si fermassero le fonti emissive e si procedesse alle bonifiche». Molti di queste morti sono purtroppo giovani e bambini.
In Sardegna le Madri contro la Repressione si oppongono ai poligoni militari (che riempiono di metalli pesanti e materiale radioattivo i paradisi naturali sardi) e alle fabbriche di bombe che esportano morte e si ingrandiscono a scapito della natura. Per rispondere al ricatto lavorativo il Comitato riconversione Rwm ha creato la rete Warfree liberu de sa guerra, una filiera di piccoli produttori etici, che ripudiano la guerra e lo sfruttamento della natura in tutta la loro filiera produttiva (dalle banche ai fornitori). Anche a Taranto le associazioni respingono il ricatto “salute o lavoro” mostrando dati alla mano quanti lavori in più si creerebbero chiudendo l’acciaieria, a partire dalle bonifiche e tornando a puntare sul turismo, sull’agricoltura sostenibile e altre attività ora soffocate dai fumi (il piano Taranto).
E ancora le Mamme Antismog nella Pianura Padana, che cercano di ridurre le auto in circolazione, i tantissimi comitati contro le nuove strade e autostrade e contro il consumo di suolo, contro le centrali a biomassa, fino alle mamme di Venafro, strette in una valle tra cementifici e inceneritori. «Le donne, vittime designate dal sistema patriarcale, sono come la natura» scrive Nicoletta Dosio, storica attivista no Tav «sono come le radici che caparbiamente risorgono anche sotto l’asfalto, resistono e si ribellano».
Le modalità per resistere sono diverse, tutto dipende dalle forze in campo. Manifestazioni, presidi, azioni di disobbedienza civile, esposti, studio e monitoraggio attento, scuole popolari, divulgazione di alternative, laboratori creativi. «Abbiamo fatto della nostra rabbia e del nostro dolore uno strumento di impegno e cambiamento» spiega Michela Piccoli, storico volto delle mamme No Pfas. «Vogliamo poter guardare negli occhi i nostri figli e dire che almeno noi abbiamo fatto tutto il possibile».
La Rete delle mamme da Nord a Sud a giugno è stata in Parlamento per chiedere una svolta e giustizia ambientale. Queste le richieste: bonifiche rapide dei territori, a spese di chi inquina, chiusura degli impianti inquinanti e nessun nuovo impianto nelle zone già martoriate; divieto di utilizzo di fanghi industriali come fertilizzanti sui terreni agricoli; prevenzione sanitaria, controlli e monitoraggi ambientali; studi epidemiologici ed esami sanitari sulle popolazioni esposte; abbandono delle energie fossili e stop immediato ai finanziamenti pubblici ai mega impianti, puntando invece sulla vera transizione ecologica integrale e quindi sull’energia solare democratica con le Comunità Solari Locali e le Comunità Energetiche Rinnovabili. Le mamme chiedono misure concrete per la mitigazione degli effetti del cambiamento climatico in atto e infine la richiesta più impellente: il divieto di produzione e utilizzo dei Pfas, visto che le alternative esistono e sono già praticabili da molte aziende. D’altra parte l’amianto, che un tempo sembrava indispensabile e insostituibile ora non si può più produrre. Gli effetti però ancora lì vediamo, la gente ancora muore per l’esposizione di decenni fa.
Foto apertura: Donne manifestano a Ravenna contro l’inquinamento
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