Guerre

Da Mosca a Gerusalemme: i doppi standard dei governi e della società civile europei

La Russia e Israele sono entrambi Paesi che occupano territori che a loro non appartengono ma, mentre nei confronti di Mosca è scattata un'inequivocabile censura, per Tel Aviv ci si limita al massimo ad un rimprovero indulgente. Due pesi, due misure; doppi standard. A salvare la faccia dell'Ue avrebbe potuto essere la società civile europea ma, per quanto riguarda il movimento pacifista italiano, almeno l'ala più ideologica, si è registrata l'asimmetria opposta, ovvero quello che vale per Israele non vale per la Russia

di Paolo Bergamaschi

Due guerre regionali ai margini dell’Unione europea che coinvolgono potenze nucleari con il rischio concreto e imminente di allargarsi risucchiando altri Paesi e alleanze in un vortice potenzialmente letale per l’intera umanità.

Siamo davvero sull’orlo del precipizio; tutti siamo chiamati ad agire sia sul piano governativo che su quello non governativo, chiamando in causa sia gli attori statali che quelli non statali. Per quanto riguarda l’Europa e, più in generale l’Occidente, ci sarebbe bisogno di un approccio coerente e esemplare, saldo nei principi, in linea con i valori sui quali abbiamo costruito la casa comune. Purtroppo il conflitto in Ucraina e quello della Striscia di Gaza stanno rivelando tutta l’ipocrisia delle posizioni assunte, sacrificate sull’altare di un interesse geopolitico che fa a pugni con il diritto internazionale con conseguenze devastanti destinate a marchiare irreversibilmente la nostra residua credibilità agli occhi del Sud Globale.

Quando è scattata l’invasione russa dell’Ucraina nel febbraio del 2022 il sostegno per Kiev era convinto e massiccio. Alle Nazioni Unite furono 141, la stragrande maggioranza, i Paesi che a quell’epoca approvarono la risoluzione di condanna dell’aggressione di Mosca. Lo scorso giugno in Svizzera i Paesi che hanno partecipato al vertice di pace convocato da Volodymyr Zelensky sono scesi a un centinaio e ancora di meno sono stati quelli che hanno sottoscritto il documento finale. Anche se la causa è giusta il consenso scricchiola e si eroderà sempre di più, di pari passo con gli sviluppi della crisi mediorientale. Quello che valeva per la Russia sembra non valere per Israele. Sono entrambi Paesi che occupano territori che a loro non appartengono ma, mentre nei confronti di Mosca è scattata un’inequivocabile censura, per Tel Aviv ci si limita al massimo ad un rimprovero indulgente facendo attenzione di non urtare troppo la sensibilità del partner. Per la Russia sanzioni, per Israele qualche timido richiamo. Per Vladimir Putin si plaude al mandato di arresto emesso dalla Corte Penale Internazionale, per Benjamin Netanyahu si tace sulla richiesta di incriminazione del Procuratore Capo della stessa corte. Negli Stati Uniti si arriva addirittura a sfidare apertamente l’iniziativa del giudice invitando il primo ministro israeliano a tenere un discorso ufficiale alla Camera dei Rappresentanti, come avvenuto lo scorso 24 luglio.

Due pesi, due misure; doppi standard. A salvare la faccia dell’Ue avrebbe potuto essere la società civile europea ma, per quanto riguarda il movimento pacifista italiano, almeno l’ala più ideologica, si è registrata l’asimmetria opposta, ovvero quello che vale per Israele non vale per la Russia. Non è un caso se le manifestazioni per la pace nelle piazze italiane pullulano di bandiere palestinesi mentre quelle ucraine sono quasi assenti. D’altronde a Kiev, secondo la narrativa del Cremlino sposata dal fronte pacifista, sono saliti al potere i nazisti con un colpo di stato. Non una parola, al contrario, sulla situazione di Gaza dove Hamas, al governo dal 2006, dopo la cacciata dell’Autorità nazionale palestinese, aveva instaurato un brutale regime teocratico. Per non parlare dei massacri di Bucha e Irpin, derubricati a messinscena anti-russa come gli altri innumerevoli crimini di guerra commessi dalle forze di Mosca. L’elenco di incongruenze è lungo.



Per 18 anni Benjamin Netanyahu si è preso gioco delle diplomazie occidentali che per diciotto anni sono state al gioco perfettamente consapevoli di avere di fronte uno scaltro mistificatore seriale pervicacemente intento ad affossare la soluzione dei due stati per due popoli. Da più di due anni chi chiede la fine del sostegno militare a Kiev invoca un accordo con un Paese, la Russia, che non ha rispettato né il Memorandum di Budapest con l’Ucraina del 1994, né l’accordo di Istanbul con la Moldavia del 1999, e neanche l’accordo con la Georgia del 2008.  Il giustificazionismo di comodo a parte inverse nel nostro Paese, ormai, ha preso il sopravvento scardinando ogni logica. Chi concede le attenuanti a Putin per avere reagito alle presunte provocazioni della Nato non è disposto a concederle a Netanyahu che ha reagito all’eccidio perpetrato da Hamas un anno fa. Tanto inflessibili e intransigenti nei confronti di Putin quanto accomodanti e remissivi nei confronti di Netanyahu e viceversa in un gioco al massacro in cui fra le centinaia di migliaia di vittime è morto anche il diritto internazionale.

Foto/Maxim Shemetov/Pool Photo via AP/LaPresse

Cosa fa VITA?

Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è  grazie a chi decide di sostenerci.