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Da Milano ogni 3 mesi arrivano cibo e vestiti. Gli aiuti umanitari solo bipartisan. Se no…

Il Coordinamento associazioni volontariato lavora con entrambe le comunità: "qui, se fai qualcosa per gli albanesi devi farlo anche per i serbi. E viceversa".

di Redazione

La frontiera fra Serbia e Kosovo, la quarta da quando siamo partiti da Milano, la passiamo a bordo del furgoncino del Cav (Coordinamento associazioni di volontariato). Alla guida c?è Marco Santi, 36 anni, musicista. Alla sua destra, Bruno Maggiolo, 51 anni, giornalista e responsabile della missione Cav for Kosovo. Da oltre tre anni collaborano con la Caritas per portare aiuti in una delle città martire dei Balcani: Mitrovica. «Laggiù l?importante è mantenere l?equilibrio», ci ripetevano durante il viaggio. Da lì a poco avremmo capito. A Mitrovica se fai qualcosa per i serbi del nord della città, devi fare altrettanto per gli albanesi del sud. In caso contrario finisci nel mirino della rappresaglia. Ne hanno avuto un assaggio i secondi e ultimi cooperatori italiani arrivati: Barbara Chiaronza e Mario Zichina, di Assopace. A loro certo non mancava l?esperienza nei Balcani. Mitrovica, però, è un posto sgangherato e per lavorarci bisogna conoscere dall?interno le sue ferite. Assopace pensava a un centro culturale misto. Niente di più impossibile. Il progetto è naufragato dopo due settimane e la sede dell?associazione è stata vittima di due furti nel giro di poche ore. Spariti il computer e oltre 3.500 euro. Funziona ancora, invece, la mensa del Cav per i poveri di etnia serba. Quando arriviamo a Mitrovica, dopo quasi 20 ore di viaggio in auto, è la nostra prima tappa. È l?ora di pranzo e Mladen, Dosta e altre 35 persone mangiano in silenzio zuppa, uova, wurstel e patate. Vasilje invece aspetta fuori con un vassoio in mano. Gli servirà per portare a casa due pasti per i fratelli immobilizzati. Bruno guarda e racconta: «Ogni tre mesi parte dall?Italia un camion pieno di cibo». Nel camion, però, l?ultima volta c?erano anche scarpe, detergenti e pasta che non finirà nei piatti dei poveri serbi. «Se fai qualcosa per gli uni, devi fare qualcosa anche per gli altri», ribadisce Marco. Così, il Cav, per compensare la mensa a nord, ha deciso di stabilire sede e magazzino a Mitrovica sud. Con gli aiuti mangiano 22 famiglie albanesi. Usciti dalla mensa, passiamo il ponte vecchio, per recarci in magazzino a preparare i pacchi dono. La prima famiglia che visitiamo sono i Sakidu. La scheda del Cav parla di sei persone. Nella baracca ne troviamo almeno il doppio, fra cui anche una ragazzina incinta. Sono vestiti di stracci. Skender, è il capo famiglia, ha 44 anni, è disoccupato dal 1989. Faceva il minatore «fino a quando», ricorda, «Milosevic decise che gli albanesi dovevano uscire dalla fabbrica». Ci offre un tè. Poi lo salutiamo, lui ci risponde con il tipico augurio albanese: «natën e mirë». Quindici minuti dopo siamo dalla seconda famiglia. Sono rom. Fra la casa diroccata degli Haliti e il cimitero serbo c?è solo del filo spinato. Ci aspettano in 19 con una sola richiesta: pannolini. L?odore di escrementi è insopportabile. Non riusciamo ad entrare. Dopo i Sakidu e gli Haliti, ecco i Kelmehdi che vivono in una stalla, ecco Hetem Bunjaku, un vecchio di 85 anni accampato in una tenda, poi i Berisha e tutti gli altri. Fra loro c?è chi ha perso le dita a causa di una mina, chi ha passato due anni in carcere per aver massacrato il marito ad accettate, chi deve dar da mangiare a 10 figli, fra cui due disabili, con 25 chili di farina al mese, chi, dopo aver passato due mesi in un carcere serbo, un figlio a carico e uno in arrivo, ha perso completamente il senno e ti fissa di continuo con un sorriso da ebete. È sera, un buio pesto avvolge Mitrovica. «Torniamo in magazzino», ordina Bruno. Lì ci aspetta una sorpresa: i lucchetti della porta sono stati rotti. Tutti sanno che il Cav aiuta sia i serbi che gli albanesi. Ma a Mitrovica non basta. Info: Chi volesse sostenere l?attività del Cav a Mitrovica può acquistare Oggi, in Kosovo, un libro fotografico a cura di Bruno Maggiolo e Marco Santi. Per le ordinazioni: blupress@iol.it


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