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Adozione

Da mamma adottiva a nonna: gioie e tormenti del nuovo ruolo

«Presto diventerete nonni»: cosa accede nella testa e nel cuore di un genitore adottivo quando il proprio figlio, o figlia, annuncia una nuova gravidanza? Invidia, paura, tristezza, gioia? Spesso è tutto questo insieme. Su VITA ospiteremo nei prossimi giorni alcune testimonianze, soprattutto di nonne, alle prese con gioie e tormenti. Oggi, invece, lasciamo che tre psicoterapeute approfondiscano i vissuti più ricorrenti

di Sabina Pignataro

Tutte le nonne si assomigliano nel momento in cui incontrano per la prima volta il loro nipotino o scoprono che “è in arrivo”: hanno gli occhi lucidi di commozione e il cuore in subbuglio. Ogni donna che si prepara a diventare mamma ha la sua storia e lo stesso forse vale anche per ogni donna che scopre che sta per diventare nonna. Nelle donne che hanno adottato il proprio figlio, la nuova vita in arrivo potrebbe portare con sé emozioni complesse, ambivalenti, potenzialmente in grado di riattivare ricordi e vissuti non sempre felici o risolti. Nel momento in cui un figlio adottivo diventa genitore, tutto di nuovo si risveglia, insieme a sensazioni e pensieri forse mai fatti prima.

Le associazioni di famiglie adottive e gli enti che preparano all’adozione spesso dedicano incontri ai “nonni adottivi”, rivolgendosi ai genitori di figli adulti che hanno deciso di adottare. Non si parla mai invece degli altri nonni, quelli che diventano tali perché i bambini che loro hanno adottato tanti anni fa sono cresciuti e stanno diventando genitori.

Gravidanza: esperienza inedita

Tra le tematiche più ricorrenti c’è quella legata al fatto che, prima di tutto, nella maggior parte dei casi, la gravidanza è un’esperienza che i futuri nonni non hanno potuto vivere come genitori. Benché nessuna adozione possa avere la funzione di “riparare” una gravidanza mancata.

«In generale, nella futura nonna  può esserci il timore di non poter aiutare davvero questa figlia o questo figlio, di non poter essergli davvero vicina in questa esperienza: perché non l’ha generato lei o perché lei non ha vissuto quell’esperienza», chiarisce Daria Vettori, psicoterapeuta, che da più di 30 anni lavora con le famiglie adottive. «Possono esserci anche altri sentimenti come l’invidia, la paura inconscia questo figlio possa non essere in grado di farcela, che la sua storia lo abbia segnato in modo indelebile».

«E’ un dato di fatto che la scelta dell’adozione origina il più delle volte dal vissuto dell’infertilità», osserva Marcella Griva, psicoterapeuta familiare e consulente di AiBi-Amici dei Bambini.  «Capita allora che i genitori che non sono stati in grado di pacificarsi del tutto con la propria storia, sperimentino sentimenti contrastanti davanti all’annuncio della gravidanza del proprio figlio oppure figlia». Allora è importantissimo che la mancata gravidanza biologica «venga compresa ed elaborata nel suo significato più profondo, assorbita e risolta».

Questo vale in modo particolare per le donne, le future nonne «che si trovano a fare i conti di nuovo con la gravidanza mancata, con le difficoltà del proprio trascorso e con le circostanze che hanno portato all’adozione», andando incontro contemporaneamente a sentimenti contrastanti, dove accanto alla gioia ci sono «sentimenti di smarrimento e fastidio, invidia e tristezza, che possono disorientarle».

Non si tratta di una rinnovata maternità o paternità

«Diventando nonni inevitabilmente si sperimenta nuovamente la genitorialità, ma è opportuno avere chiaro – questo vale per tutti – che non si tratta di una rinnovata maternità o paternità», ribadisce Daniela Bertolusso, responsabile della  sede torinese di AVSI. Eppure talvolta, quando mancano gli strumenti o il supporto dedicato, è quello che accade. Una neomamma per esempio racconta che  «guardando mia madre accudire mia figlia, mi rendevo conto che, anche senza avere la volontà di delegittimarmi, a volte lei assumeva il ruolo di “genitore vicario”: la mia bambina di fatto le offriva una possibilità che con me non aveva avuto». Questo genera conflitti, malumori, disagi, più o meno taciuti, ammessi, esplicitati.

Le donne che oggi stanno diventando nonne hanno adottato 25/30/35 anni fa. All’epoca la concezione dell’adozione era un po’ diversa da oggi e anche la valutazione dell’idoneità, la formazione degli aspiranti genitori adottivi, le opportunità di confronto erano forse un po’ meno approfondite. I tempi per perfezionare l’adozione erano più brevi e i bambini entravano in famiglia anche molto piccoli. «Sono tutti fattori che talvolta non hanno facilitato nelle madri adottive riflessioni ed elaborazioni complete di alcune parti della propria storia», evidenzia Daniela Bertolusso. «E se l’adozione è stata un “cerotto” messo sulla ferita biologica in modo frettoloso, senza darle il tempo di rimarginarsi, oggi il bimbo in arrivo o appena arrivato può anche riattivarla».

Se l’adozione è stata un “cerotto” messo sulla ferita biologica in modo frettoloso, il bimbo in arrivo o appena arrivato può anche riattivarla

Daniela Bertolusso

Come posso dare consigli se non ci sono passata?

Inoltre, prosegue Griva, «per le nonne può essere complicato trovare un terreno di confronto con la futura mamma o il futuro papà sul tema della gravidanza o della nascita, esperienze di cui non conoscono gli aspetti intimi e personali. Questo può attivare timori e insicurezze, paura di non essere capaci di aiutare e accompagnare i neo genitori in quest’esperienza e non essere percepite in un ruolo di sostegno». Ancora Daniela Bertolusso racconta: «Alcune nonne ci rimandano un senso di inadeguatezza a causa dell’impossibilità di attingere alla propria esperienza personale per dare suggerimenti alle figlie incinte o neomamme. “Mi chiedeva consigli a proposito delle nausee e dell’allattamento: come potevo aiutarla?”».

Nelle difficoltà nasce una nuova intimità

Una distanza che però non è solo un limite. Come spiega Vettori: «Questi sentimenti così potenti parlano della possibilità di condividere questa esperienza come qualcosa che avvicina visceralmente, un’esperienza di scoperta e intimità, la possibilità di dire a un figlio: “Non sei più solo, ci sono, perché so cosa significa sentire la paura di non farcela o l’impotenza del legame. Ti i ho concepito e sognato in qualche modo e quindi sono con te».

Il tema dell’eredità genetica

Un altro dei grandi temi riguarda l’eredità biologica del nuovo bimbo in arrivo. Alle nonne adottive, infatti, sarà impossibile riconoscersi nella forma del viso o nel taglio degli occhi di quell’essere nuovo di zecca. «Il tema della somiglianza e dell’eredità genetica del nascituro»,  chiarisce Grevia, «può provocare un’ambivalenza emozionale poiché richiama in causa il confronto con i genitori biologici dei propri figli, che le future nonne possono faticosamente percepire come presenti sulla scena nella veste dell’ “altra” famiglia». Daria Vettori spiega che «questo spesso è il più grande tabù che riguarda il rapporto con i “nonni” biologici, quelli a cui i bambini assomiglieranno, di cui porteranno il DNA». Infatti, «questi bambini porteranno sul loro corpo una traccia indelebile di altre persone, quelle che hanno generato tuo figlio, che lo hanno lasciato, che non sono stati in grado di prendersi cura di lui. E questo per alcuni può essere un fardello molto pesante».

Fare i conti con l’abbandono

Fino a qui abbiamo parlato del percorso emotivo dei futuri nonni e delle “specificità”, se così si può dire, del diventare nonni dopo aver adottato. Ma con ancor più evidenza la gravidanza e la nascita di un figlio comporta vissuti ed emozioni travolgenti nei ragazzi e nelle ragazze adottate, diventati uomini e donne.
E’ inevitabile, quando si sta per  diventare madre o padre ripensare al proprio modello genitoriale, alle scelte fatte dalle proprie madri e padri. Lo fanno tutte le coppie in attesa.  

L’esperienza della genitorialità induce, inevitabilmente, i figli adottivi adulti a ripensare alla propria storia. «Il richiamo alle origini può spaventare le  future nonne che possono sentirsi messe in discussione e temere il riemergere di problematiche e disagi vissuti nella relazione con i figli ed eventuali ripercussioni sulla vita familiare», spiega Griva.

Maternità poco pensate

Non solo. «Nell’esperienza dei figli adottati capita  molto spesso che  la genitorialità non arrivi come il frutto di un processo di crescita», spiega Daria Vettori. «Vi sono molte storie di maternità precoci, poco pensate». Nella sua esperienza trentennale Vettori  ha conosciuto «molte giovani donne adottate che hanno desiderato diventare mamme  molto presto, forse troppo presto, affrontando poi con grande difficoltà questo compito».

In queste storie i nonni sono divenuti protagonisti, senza averne avuto l’intenzione. «Molti hanno assunto un ruolo importante di cura. A volte hanno fatto i genitori “al posto” dei propri figli».  In queste storie, che Vettori dice essere «abbastanza frequenti», questi figli «diventano ancora più “figli”», anzi, «talvolta paiono “usare” questa genitorialità come un modo per non crescere o per saltare tappe troppo difficili che il mondo esterno chiede a loro di affrontare, ma rispetto a cui non si sentono all’altezza».

Un cerchio che si chiude?

Esistono certamente tante storie di «genitorialità pensata e desiderata», chiarisce la terapeuta.  Ma comunque la gravidanza è sempre «vissuta in un turbine di emozioni fatte di paure dovute alla consapevolezza di una propria storia d’origine complessa e segnata dall’abbandono». Questi figli adottati «spesso narrano la loro esperienza come un cerchio che si chiude, come la possibilità di vivere attraverso il corpo una parte della propria storia, una “riparazione” ma anche una sorta di “prova”. Attraverso un corpo che genera e che tiene, anziché lasciare».

Ripensare la propria storia

Alla luce di questa complessità, allora, «è importante per i nonni, ma soprattutto per le  nonne, concedersi lo spazio per poter ripensare alla propria storia biografica e alla vicenda adottiva, attivando un percorso di comprensione emotiva dei vissuti correlati che permetta la creazione di un ponte con il proprio figlio adottivo adulto, impegnato in un nuovo compito evolutivo», conclude Griva. «Questo processo di consapevolezza permette alle mamme adottive, presto future nonne, di legittimarsi nuovamente al fianco dei propri figli, riconfermando il legame e l’appartenenza familiare».

Tutte queste emozioni possono essere potentissime e, forse con sfumature diverse sono presenti in tutte le genitorialità, ma è fondamentale riconoscerle e – per chi ne avverte il desiderio  – creare spazi per condividerle. Conclude Vettori: «Credo sia molto importante dar voce a queste sensazioni, trasformandole in pensieri, anche se si tratta di pensieri non facili da condividere nemmeno con se stessi. Solo in questo modo però possono diventare una risorsa».

Foto in apertura,di Chris Anderson su Unsplash


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