Fisco

Da luglio 2024 il nuovo regime Iva per il Terzo settore: facciamo chiarezza

La modifica riguarderà non solo gli enti del Terzo settore ma l’intero comparto del sistema associativo italiano. Parliamo, quindi, di associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali, culturali, sportive dilettantistiche, di promozione sociale e di formazione extra-scolastica della persona

di Gabriele Sepio

Si sente parlare ormai da qualche tempo di imminenti cambiamenti che interesseranno il regime Iva per le non profit. Come tutti i cambiamenti che riguardano la materia fiscale si respira sempre un’aria di incertezza e preoccupazione, se non altro perché dietro al bisogno di capire come si applicano le nuove regole si nasconde sempre un po’ il timore dei controlli per il passato. Del resto fisco e Terzo settore non hanno sempre avuto un rapporto idilliaco anche in considerazione del fatto che, almeno fino alla riforma del 2017, più che un sistema di regole fiscali coerenti per gli enti impegnati nelle attività di interesse generale si sono prodotte norme ad intermittenza stratificate nel tempo, a volte anche in conflitto tra loro.

Non stupisce come con una certa regolarità l’Italia riceva contestazioni, meglio note come “procedure di infrazione”, da parte della Commissione europea, che ha il compito di vigilare affinché non vengano concessi i cosiddetti “aiuti di Stato” in violazione delle regole del mercato. Il risultato è che dopo l’avvio di una procedura di infrazione i Paesi sanzionati debbono riscrivere le regole e recuperare le imposte non versate dagli enti. Un po’ quello che è accaduto con la procedura Ici/Imu conclusasi con l’emanazione di una nuova norma e la sollecitazione della Ue che ha presentato di nuovo il conto all’Italia a marzo di quest’anno richiedendo indietro le imposte dovute. Ed è esattamente quello che sta accadendo ora a seguito della riscrittura delle norme Iva per gli enti associativi con l’obiettivo di inserire nuove regole in linea con le indicazioni comunitarie. Non è un caso, dunque, che una parte delle norme fiscali disegnate dalla riforma del Terzo settore sia oggi sul tavolo del confronto con la Ue. Non dimentichiamo che l’economia sociale ha assunto un ruolo sempre più decisivo per gli equilibri del sistema Paese e occorre iniziare a prendere atto del fatto che il Terzo settore e le regole che lo governano, stanno gradualmente trovando un proprio spazio e una propria dignità nel sistema legislativo italiano ed europeo. 

Quali gli enti e le entrate interessate dal cambiamento del regime Iva? 

In questo articolo vorrei tralasciare, almeno per ora, l’analisi delle ragioni strettamente tecniche legate alla procedura di infrazione e le singole contestazioni della Ue su cui avremo modo di tornare. Vorrei piuttosto fare chiarezza sugli scenari futuri dal momento che in risposta alla procedura di infrazione appena indicata sono state introdotte nuove regole Iva che scatteranno dal 1° luglio 2024. Vediamo, dunque, quali sono le novità, quali gli enti interessati e cosa cambierà in concreto. Iniziamo con il dire che questa modifica riguarderà non solo gli enti del Terzo settore ma l’intero comparto del sistema associativo italiano. Parliamo, quindi, di associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali, culturali, sportive dilettantistiche, di promozione sociale e di formazione extra-scolastica della persona. Per queste realtà la legge italiana ha sempre considerato irrilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto non soltanto i contributi ordinari dei soci, ma anche i pagamenti aggiuntivi effettuati da soci, associati o partecipanti in funzione delle ulteriori prestazioni rese dall’associazione in linea con le proprie finalità istituzionali. Quest’ultimi sono noti come “corrispettivi specifici” e “contributi supplementari”. Pensiamo alle quote versate per partecipare ad un evento, ad una gara, oppure per fruire di spazi dedicati. Si tratta insomma di entrate piuttosto diffuse che spesso, specie per le piccole realtà, sono la fonte principale di sostentamento. A queste si aggiungano anche le somme ricevute dalle associazioni di promozione sociale a fronte della somministrazione di alimenti o bevande presso le sedi in cui viene svolta l’attività istituzionale, pensiamo al bar o ai classici “circoli”. Per godere della sostanziale irrilevanza Iva è necessario che l’attività sia svolta in diretta attuazione degli scopi istituzionali ed effettuata a favore di soci, associati o partecipanti. Trattandosi di “esclusione” dall’Iva gli enti con entrate rientranti in questo elenco non sono tenute, almeno fino al prossimo anno, all’apertura della partita Iva nè tantomeno ai relativi adempimenti formali.

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La ragione alla base di questo trattamento favorevole era di mantenere estranei dall’area della “commercialità”, e quindi fuori dal campo Iva, quei servizi che si consumavano all’interno della vita associativa e che erano comunque in linea con le attività statutarie dell’ente. Attività che, salvo ipotesi patologiche, non si ponevano sul mercato risolvendosi in un servizio di carattere mutualistico con gestione in perdita o in sostanziale pareggio. 

La logica adottata dal nostro legislatore non è stata condivisa a livello europeo, in quanto giudicata eccessivamente formale e fondata sull’automatismo per cui tutte le prestazioni rese a soci, associati o partecipanti erano, per ciò solo, estranee all’Iva

La logica adottata dal nostro legislatore non è stata, tuttavia, condivisa a livello europeo, in quanto giudicata eccessivamente formale e fondata sull’automatismo per cui tutte le prestazioni rese a soci, associati o partecipanti erano, per ciò solo, estranee all’Iva.

Sul punto, infatti, la Commissione europea ha assunto una posizione più restrittiva, dato che un’operazione può essere non soggetta all’Iva soltanto se manca una vera attività economica, cioè in assenza di uno scambio oneroso di prestazioni, a prescindere dai soggetti coinvolti. 

Da qui l’avvio, come si diceva,  nel corso del 2010, di una procedura di infrazione aperta dalla Commissione europea contro l’Italia, a seguito della quale il nostro Paese ha provveduto, sebbene dopo oltre dieci anni, ad adeguarsi alle indicazioni fornite dalla Ue al fine di bloccare la procedura di infrazione. 

Per questa ragione nel 2021 è stato soppresso il regime di esclusione Iva sui “corrispettivi specifici” e “contributi supplementari”, stesso destino per la somministrazione di alimenti e bevande da parte di associazioni di promozione sociale con un deciso cambio di rotta ai fini della tassazione Iva. Queste tipologie di entrate, con le differenze che spiegherò più avanti, si trasformeranno da “escluse” in “esenti” ai fini Iva e rientreranno, dunque, nel campo di applicazione dell’imposta dal 1° luglio del 2024. In altre parole, gli enti che ancora ne sono sprovvisti dovranno dotarsi di partita Iva ma non sarà dovuta alcuna imposta con riferimento alle prestazioni rese. Un po’ quello che oggi avviene per le prestazioni sanitarie ma con qualche differenza da valutare con attenzione. 

Cosa cambia dal 1° luglio 2024 

Il nuovo regime Iva di esenzione per le associazioni con finalità di interesse sociale rappresenta un cambio di rotta radicale ma, per certi versi, anche poco tangibile.

È radicale, perché determinate operazioni, da sempre considerate escluse dall’Iva, sono ricondotte tout court nel campo di applicazione del tributo ma non tutte necessariamente ricadranno nell’ambito delle operazioni esenti (pensiamo alla somministrazione di alimenti e bevande).

qualificare i “corrispettivi specifici” e i “contributi supplementari” come rilevanti ai fini dell’Iva ma esenti significa che in fattura l’imposta non deve essere addebitata

È poco tangibile, perché qualificare i “corrispettivi specifici” e i “contributi supplementari” come rilevanti ai fini dell’Iva ma esenti significa che in fattura l’imposta non deve essere addebitata. In sostanza il socio, che prima non pagava l’Iva sui corrispettivi specifici versati all’associazione, continua a non “vedere” l’imposta e a non pagarla.

Cambia tanto sul fronte degli adempimenti. Infatti, le associazioni che ne siano sprovviste devono dotarsi della partita Iva e quindi contabilizzare le relative operazioni nei registri Iva, senza contare l’obbligo di tenere una rendicontazione separata

Cosa cambia allora?

Cambia tanto sul fronte degli adempimenti. Infatti, innanzitutto le associazioni che ne siano sprovviste devono dotarsi della partita Iva e quindi contabilizzare le relative operazioni nei registri Iva, senza contare l’obbligo di tenere una rendicontazione separata.

Proprio l’obbligo di aprire la partita Iva è il punto centrale della questione, perché le associazioni interessate dalle modifiche sono per lo più realtà di piccole dimensioni, che non svolgono attività commerciali. Il cambio di regime Iva applicabile a tali realtà determinerà, quindi, l’ingresso di migliaia di enti negli ingranaggi dell’Iva. Circostanza, quest’ultima, che porta con sé, anche, la soggezione di tali enti ai controlli dell’Agenzia delle entrate. 

Gestione e semplificazione dei nuovi adempimenti Iva

Mentre l’apertura della partita Iva è un passaggio formale inevitabile, le organizzazioni che dovranno fare i conti con le nuove regole Iva potranno valutare di accedere alla c.d. “dispensa” dagli adempimenti relativi alle operazioni esenti: in forza di quest’ultima, la singola associazione potrà evitare gli oneri di fatturazione e registrazione dell’imposta, nonché l’obbligo di presentazione della dichiarazione Iva purché la totalità delle operazioni effettuate sia esente. Ma, attenzione, andrà valutato proprio questo ultimo aspetto: se l’ente riceve entrate derivanti da attività commerciali (diverse dai “corrispettivi specifici” e dai “contributi supplementari”), l’opzione della dispensa comporta l’impossibilità di detrarre l’Iva sugli acquisti.  Pensiamo, soltanto per fare un esempio, alla vendita di beni (merchandising) oppure ai servizi di sponsorizzazione. 

Vengono, dunque, a crearsi due situazioni diverse, a seconda che l’associazione eserciti solo attività esenti o anche attività ulteriori, di carattere commerciale. In tale ultimo caso, sarà opportuno effettuare un test costi-benefici, per ponderare se sia più conveniente detrarre l’Iva rispettando gli adempimenti sulle operazioni esenti oppure fruire della dispensa da quest’ultimi perdendo, però, la possibilità di recuperare l’Iva sugli acquisti

Vengono, dunque, a crearsi due situazioni diverse, a seconda che l’associazione eserciti solo attività esenti o anche attività ulteriori, di carattere commerciale. In tale ultimo caso, sarà opportuno effettuare un test costi-benefici, per ponderare se sia più conveniente detrarre l’Iva rispettando gli adempimenti sulle operazioni esenti oppure fruire della dispensa da quest’ultimi perdendo, però, la possibilità di recuperare l’Iva sugli acquisti.

La somministrazione di alimenti e bevande 

Un cambiamento di rotta interesserà anche le associazioni di promozione sociale che somministrano alimenti e bevande. Ad oggi questa attività viene considerata esclusa da Iva se effettuata, presso le sedi in cui viene svolta l’attività istituzionale, da bar ed esercizi similari, e solo se tale attività sia strettamente complementare a quelle svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali e sia effettuata nei confronti soltanto dei soci, associati e partecipanti dell’associazione.

Dal prossimo 1° luglio tuttavia a differenza dei corrispettivi specifici e delle quote supplementari non si registrerà un cambio uniforme del regime Iva. Non tutte le entrate derivanti da questa attività potranno infatti qualificarsi come esenti e rientrare nel trattamento fiscale sopra descritto. La norma includerà nel regime di esenzione solo le prestazioni rese a favore di persone indigenti e dunque, per le restanti forme di somministrazione non resterà che il regime Iva ordinario di piena imponibilità. Pertanto per le associazioni di promozione sociale la somministrazione verso soci, associati e partecipanti potrebbe mutare radicalmente e trasformarsi da attività irrilevante ai fini Iva in una vera e propria gestione totalmente assoggettata ad imposta.

per le associazioni di promozione sociale la somministrazione verso soci, associati e partecipanti potrebbe mutare radicalmente e trasformarsi da attività irrilevante ai fini Iva in una vera e propria gestione totalmente assoggettata ad imposta

Sotto questo punto di vista anche laddove fosse chiarito l’esatto ambito applicativo del termine “indigente”, per la verità non del tutto allineato alle definizioni giuridiche e tributarie finora utilizzate, è chiaro che ben difficilmente la somministrazione di alimenti e bevande svolta dai classici “circoli” o bar gestiti dalle Aps nell’ambito delle proprie sedi potrà ricadere completamente nel regime di esenzione. Faranno eccezione ovviamente le mense dedicate esclusivamente a persone in difficoltà economica per le quali varrà il regime di esenzione sopra descritto. Tuttavia al di fuori di questa ipotesi le Aps dovranno dunque dotarsi di partita Iva e seguire gli adempimenti ordinari, che richiedono la fatturazione delle prestazioni, la loro registrazione, la liquidazione periodica dell’imposta e quindi la presentazione della relativa dichiarazione Iva.

Esiste tuttavia la possibilità di evitare questo ingranaggio burocratico per i piccoli enti. Per le associazioni di promozione sociale di minori dimensioni si potranno evitare la maggior parte di questi adempimenti grazie alla opzione per il particolare regime introdotto dalla riforma del Terzo settore a favore di Aps e Odv e anticipato ai soli fini Iva al 1° gennaio 2024.

Il particolare regime Iva per Organizzazioni di volontariato e Associazioni di promozione sociale 

Nel corso del 2021, oltre al mutamento del regime Iva per gli enti associativi di cui si è detto, è stata introdotta anche la possibilità per Odv e Aps di applicare un regime speciale che anticipa il trattamento fiscale introdotto dalla riforma del Terzo settore e destinato a scattare dopo l’autorizzazione Ue.

Le Odv e Aps potranno a partire dal 1° gennaio 2024 applicare il regime forfettario dell’Iva fino alla soglia di 85mila euro di ricavi. Il forfettario, in vigore ormai da diversi anni per professionisti e “partite Iva” individuali, è un regime molto semplificato, perché l’Iva non va esposta nelle fatture emesse così come non può essere detratta in quelle ricevute. In altre parole, con il regime forfettario vengono meno tutti gli adempimenti collegati a questa imposta, salvo la numerazione e la conservazione delle fatture.

Le Aps con entrate inferiori a 85mila euro potranno evidentemente fruire di queste semplificazioni anche per la somministrazione di alimenti e bevande includendo qualsiasi altra attività rilevante ai fini iva fino al limite di 85 mila euro.

Una opportunità con la delega fiscale

È evidente che il quadro fiscale, ai fini Iva, entro cui si muovono le associazioni in Italia non è affatto chiaro e lineare, con regole diverse che si susseguono nel tempo e ripensamenti del nostro legislatore frutto di compromessi raggiunti a livello europeo.

Un’opportunità per arrivare a una situazione più semplice deriva dal tentativo di riforma fiscale che è in atto in questi mesi. Nelle intenzioni del decisore politico si vorrebbe arrivare a una riscrittura integrale del sistema fiscale e, in questo disegno, uno degli obiettivi che ci si è posti è quello di razionalizzare la disciplina dell’Iva per gli enti del Terzo settore, anche al fine di semplificare gli adempimenti relativi alle attività di interesse generale. Seguendo questa direttrice, la riforma fiscale potrebbe essere la sede per agevolare quanto più possibile l’ingresso nella sfera dell’Iva dei “corrispettivi specifici” e di “contributi supplementari”, ad esempio introducendo semplificazioni ad hoc per le associazioni di piccole dimensioni, che sono di gran lunga le più numerose nel nostro Paese ma anche quelle più impattate dai nuovi adempimenti. Su questo aspetto torneremo presto con nuovi aggiornamenti.

Foto: Circolo Acli/Archivio VITA

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