Economia

Da Euricse un Piano d’azione per l’economia sociale

Una serie di proposte concrete dell'istituto di ricerca che investono la possibilità di valorizzare l’economia sociale di fronte alle sfide del futuro. Il tentativo di tracciare un solco per fare spazio, dentro la crisi del nostro tempo, al protagonismo della società, investendo sull’iniziativa delle persone e sulla loro capacità di cooperare, aprendo nuove frontiere di relazione e di convivenza.

di Gianluca Salvatori* e Giacomo Pisani

Tra poco, alle 10.30 in diretta sul canale Youtube del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, Euricse presenterà, alla presenza del viceministro dell’Economia e delle Finanze Laura Castelli e del presidente del CNEL Tiziano Treu, un documento in cui prova a tracciare gli assi per lo sviluppo di un Piano nazionale di azione per l’economia sociale. Si tratta di un contributo aperto al confronto con enti e istituzioni (al webinar partecipano realtà di spicco come ACI, Assifero e Fondazione Italia Sociale) che si inserisce in una lunga serie di interventi che hanno visto Euricse protagonista già dal termine della prima ondata della pandemia da Covid-19, tesi ad affermare la centralità dell’economia sociale in un momento così critico.


https://www.youtube.com/watch?v=Y2Dw83-l0j4

Alcune straordinarie trasformazioni sociali ed economiche, già in atto in Occidente, durante la pandemia hanno subito processi di ulteriore accelerazione e approfondimento, mettendo sotto scacco alcuni principi alla base della coesione sociale nei nostri paesi. L’aumento delle disuguaglianze e della divaricazione fra garantiti e non garantiti; l’impatto ambientale e sociale dell’attuale modello di sviluppo, soprattutto per gli stati più svantaggiati; la dilatazione dei tempi di disoccupazione e inoccupazione, costituiscono delle sfide inaggirabili per una politica che pure sconta limiti e perdita di fiducia. La crisi del modello di produzione fordista, sul quale si sono retti i grandi modelli costituzionali novecenteschi, ha prodotto un evidente corto circuito, che ancora non è stato assunto in tutta la sua portata, lasciando campo libero alla propaganda di movimenti xenofobi e populisti.

In questo quadro, al di fuori della mediazione su cui si è retto il governo della complessità a partire dal secondo dopoguerra, è emersa l’insufficienza di entrambi i poli che hanno animato quella tensione: un privato tradizionale, orientato al profitto, e un pubblico alle prese con una gestione quasi esclusiva di uno spettro di rischi sempre più ampio e diversificato. Eppure, è emerso in maniera eclatante come al pubblico, di fronte ad uno scenario di questo genere, non resti che interpretare un ruolo di mera coercizione “esteriore”, in assenza di una società attiva che interpreti rischi e bisogni collettivi e si organizzi per affrontarli.

È in questo spazio che è apparsa tutta la potenza della solidarietà dal basso, della collaborazione fra comunità, associazioni e terzo settore, della pluralità degli attori sociali che si attivano e si fanno carico responsabilmente della risposta ai bisogni. È forse su questo terreno che è possibile individuare delle traiettorie per riuscire ad immaginare delle politiche all’altezza dei tempi.

Radicamento territoriale e autonomia hanno costituito i punti di forza dell’azione delle organizzazioni che popolano il vasto e variegato mondo dell’“economia sociale”. Essa, più che configurarsi nei termini di una forza estranea, da esercitarsi di fronte ad una realtà fattuale amorfa e distante, ha preso forma entro lo stesso tessuto sociale, traendo linfa da bisogni ed esigenze collettive, a partire dall’azione concreta dei soggetti che si mobilitano e si autodeterminano collettivamente.

È dentro queste coordinate che si sviluppa una diversa concezione di welfare, distante dall’approccio verticale e deresponsabilizzante tipico del modello assicurativo novecentesco, ma radicata, al contrario, sull’attivazione dal basso dei soggetti, entro la configurazione di strategie plurali, dentro un prisma di alleanze inedite fra associazioni, fondazioni, cooperative etc., in una prospettiva generativa e orientata al bene comune. Tale azione non può però legittimare il disimpegno del pubblico: piuttosto, essa abbisogna di sostegno e di un orizzonte normativo che ne agevoli il pieno dispiegamento. In questa fase, allora, è necessario che le risorse pubbliche siano dirette a incoraggiare il dinamismo dei corpi sociali, più che ad interpretare un ruolo di controllo onnipervasivo che rischia di strozzare qualsiasi spazio di autonomia. L’emergenza, infatti, ha disvelato in maniera più nitida il perimetro di un possibile modello di risposta ai bisogni sociali, che pure era già in atto da tempo nei territori, ma che di fronte all’approfondimento della crisi del binomio pubblico-privato incontra oggi uno spazio di espansione ancor più vasto ed “esigente”.

L’azione delle organizzazioni dell’“economia sociale” interpreta inoltre in maniera consapevole la co-implicazione di assistenza e sviluppo: non è possibile, infatti, rispondere ai bisogni sociali aggirando il confronto con il mercato, che costituisce, oggi, l’orizzonte con cui fare i conti per garantire la sostenibilità delle proprie iniziative. Si tratta, in altri termini, non solo di rispondere ai bisogni che investono la collettività, ma anche di farlo attraverso l’adozione di strategie che tengano in considerazione tutti gli aspetti connessi con il miglioramento delle condizioni di vita delle comunità, mettendo in atto nuovi modelli di impresa e di sviluppo.

Da qui la necessità di favorire una conversione ecologica dei modelli di sviluppo; di valorizzare il territorio anche nei settori più tradizionali dell’economia – dall’agricoltura all’artigianato – in un’ottica plurale e radicata nelle comunità; di includere tutti gli attori del territorio entro modelli di governance inclusivi e partecipati; di mettere in atto dei nuovi modelli di gestione cooperativa delle piattaforme su cui oggi poggia l’espansione della cosiddetta “gig economy”, che oppongano all’attuale controllo monopolistico di esse un orizzonte adeguato di diritti a tutela dei lavoratori, in grado di contrastare fenomeni di dipendenza e auto-sfruttamento.

L’economia sociale presenta, in ognuna di queste sfere di applicazione, un’intrinseca politicità, in quanto l’attuazione di tali strategie passa attraverso una democratizzazione dei processi decisionali. Da qui anche la sperimentazione sempre più frequente di processi di co-progettazione, co-programmazione e amministrazione condivisa dei beni comuni. Tali esperimenti chiamano in causa la capacità di articolare un diverso rapporto fra pubblico ed economia sociale, entro una sfera di cooperazione, autonomia e solidarietà che sfida gli assetti tradizionali del mercato, divenendo terreno di sperimentazione pratica e di innovazione giuridica. Con la sentenza del 26 giugno 2020, la Corte Costituzionale ha riconosciuto l’importanza e la specificità della funzione sociale esercitata dal terzo settore, ponendo le basi per un ulteriore sviluppo di tale spazio di collaborazione.

Euricse ha così articolato una serie di proposte concrete che investono la possibilità di valorizzare l’economia sociale di fronte alle sfide del futuro. Esse passano attraverso una serie di interventi: introduzione di strumenti per favorire il rafforzamento delle organizzazioni dell’economia sociale e per facilitarne la nascita di nuove iniziative per creare una maggiore consapevolezza rispetto al ruolo che l’economia sociale può giocare nella produzione e diffusione dell’innovazione; sostegno all’attività di co-programmazione e co-progettazione; misure per favorire l’occupazione nell’economia sociale; implementazione della formazione sull’economia sociale; iniziative per sviluppare la visibilità e la comunicazione; incremento del dialogo istituzionale; rappresentanza nelle sedi europee e internazionali.

Il documento di Euricse prova a tracciare un solco per fare spazio, dentro la crisi del nostro tempo, al protagonismo della società, investendo sull’iniziativa delle persone e sulla loro capacità di cooperare, aprendo nuove frontiere di relazione e di convivenza. Non è una ricetta pre-confezionata, ma uno spazio dal perimetro mobile, aperto al contributo di cittadini, soggetti plurali, comunità, potenzialmente in grado di far saltare il banco, in un momento in cui tutto in gioco. Sostenere l’economia sociale significa allora scommettere sul potenziale trasformativo delle persone, che alleandosi generano nuove esperienze collettive, prendendosi il futuro.

*Gianluca Salvatori, segretario generale di Euricse e **Giacomo Pisani, ricercatore Euricse

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