Formazione
Da est a ovest, la sciagura di nascere donna
Dietro il rapporto dell'Unicef le darmmatiche cifre sulla condizione femminile
Sessanta milioni di donne mancano all?appello, nel mondo. Donne africane, in chador, dagli occhi a mandorla o con passaporto europeo. Donne scomparse. Sparite dalle statistiche demografiche per cui oggi sulla terra dovrebbero esserci 60 milioni di bambine, mamme, ragazze, vedove, cugine e sorelle in più. Dove sono finite? Quale guerra o catastrofe naturale è stata tanto feroce e precisa da accanirsi solo sulle donne annientandone intere generazioni?
La violenza intrafamiliare. Quella più difficile da scoprire e denunciare perché ha gli occhi inferociti di un padre o di un marito e picchia, uccide, sfigura e violenta tra le mura di casa. Lontana dagli occhi della legge ma non dallo sguardo attento del Centro di Ricerca Innocenti dell?Unicef, che nel suo ultimo rapporto «violenza domestica sulle donne e le bambine» rivela per la prima volta le cifre di questo dramma: «Un?emergenza per il 50 per cento delle donne della terra». Povere, ricche, analfabete o laureate che siano……….
Anche a New York
«Trattate come una sorta di sottospecie, un animale, una scimmia ma non un essere umano», racconta Jill. Che l?esser nata in America invece che in un sobborgo di Bangkok non ha risparmiato da violenze sessuali terribili: «Sono stata violentata da tre amici di mia madre ripetutamente per oltre cinque anni», spiega alla polizia di New York che la scopre in una casa di appuntamenti, quando ha solo 14 anni e visibili carenze fisiche e psicologiche.
Inevitabili, spiega il rapporto Unicef, per le moltissime bambine abusate da parenti stretti che l?intera famiglia protegge nascondendo l?incesto. Una tra le violenze famigliari più terribili che, nel 60 per cento dei casi, riguarda ragazzine di 15 anni o meno.
Ragazzine che a volte trovano la forza di parlare – su 172 bambine tra i 14 e i 17 anni intervistate a San Pietroburgo il 25 per cento ha dichiarato contatti sessuali non voluti – ma che, in alcune parti del mondo, comunque ringraziano di essere vive. Sopravvissute a una violenza che spesso inizia ancora prima che vengano al mondo con aborti selettivi e infanticidi di bimbe con l?unica colpa di non essere maschi. Possibile? Sì. Accade in Cina, dove vige la politica di un solo figlio per famiglia e ogni anno il 12 per cento delle donne in cinta di una bambina decide di abortire. E le cose non vanno meglio in India, Paese in cui si registrano 100 casi di infanticidio l?anno e le bambine indesiderate vengono lasciate morire per mancanza di cibo, cure e attenzione riservata invece ai maschi.
Una discriminazione sessuale che, chi sopravvive, si porta dietro per il resto della vita e continua a pagare da adulta a suon di botte e percosse. Molto spesso del proprio marito o partner: secondo l?Organizzazione Mondiale della Sanità succede al 29 per cento delle donne canadesi, al 52 per cento di quelle nicaraguensi e perfino al 59 per cento delle donne giapponesi che, intervistate nel 1993, hanno dichiarato di aver subito maltrattamenti dal partner almeno una volta. Risposte false o sparate sull?onda di una litigata? Tutt?altro, spiega il rapporto dell?Unicef che a testimoniare a chiamato propri i presunti colpevoli di queste violenze: il 45 per cento dei mariti indiani ha ammesso di sottoporre le mogli a maltrattamenti fisici e anche il 20 per cento dei tailandesi dichiara di averle picchiate almeno una volta. Con conseguenze che vanno ben al di là di qualche livido.
La barbarie dell?infibulazione
Negli Stati Uniti il 35 per cento delle donne che ha subito violenza tenta il suicidio e studi realizzati in Asia dimostrano che chi ha subito gravi soprusi fisici e psicologici ha dodici volte più probabilità di tentare il suicidio.
Soprattutto se non capisce il significato di violenze gratuite, come l?infibulazione genitale femminile. Pratica cui vengono ancora oggi sottoposte 130 milioni di donne in 28 Paesi dell?Africa, Asia, Medio Oriente ma anche tra le comunità di immigrati in Europa.
Una violenza che Dasha, somala, ricorda ancora come un incubo: «Mi hanno mutilato quando avevo dieci anni. Mia nonna mi disse che mi portavano al fiume per una certa cerimonia, ero una bambina innocente eppure mi hanno condotto come una pecora al macello. Quando l?operazione ebbe inizio cercai di ribellarmi, il dolore era terribile e insopportabile. Mi mutilarono con un temperino spuntato e dopo l?operazione nessuno ebbe il permesso di aiutarmi a camminare». Come accade a 2 milioni di ragazzine ogni anno che con questo rito diventano donne ma non per questo smettono di subire violenze.
Già, perché in molti Paesi del mondo, nel Duemila, basta innamorarsi di un uomo sbagliato, essere sospettate di adulterio o semplicemente aver avuto un fidanzato prima del matrimonio per morire in nome dell?onore. Non il loro, naturalmente. Ma quello di mariti, fratelli o padri offesi che nel 1997, in una sola provincia del Pakistan, hanno ucciso 300 donne e ogni anno sfigurano con l?acido solforico più di 200 donne in Bangladesh. Donne ferite e umiliate, cui spesso non resta che diventare prostitute insieme a migliaia di bambini che le famiglie più povere del mondo vendono ogni anno a chi poi li sfrutta sulla strada.
Viola, prostituta russa in Giappone, lo ha vissuto sulla sua pelle: «A vendermi è stata la nonna, ma l?ho capito dopo. A casa sua mi fa conoscere un ragazzo e mi spinge a uscire con lui. Quando mi chiede di sposarlo e io ho dei dubbi, insiste ?Cosa aspetti? Non capisci quanto sei fortunata? Seguilo, poi ti raggiungo anch?io?. Il giorno della partenza la nonna mi accompagna all?appuntamento con questo ragazzo e i suoi amici, mi fanno salire in macchina e quando sono dentro li vedo consegnare dei soldi alla nonna: circa 600 dollari. Sono stata contenta perché credevo che fossero per la mia famiglia».
Non che la sua famiglia di origine fosse poi tanto meglio: spesso l?aveva sottoposta a botte e anche a torture e pressioni psicologiche. Questi abusi sottili per molti sono peggio di una ferita o di un occhio nero, perché più difficile da cancellare. O perfino da riconoscere come crimine. Succede a molte donne del mondo ricco e di quello povero costrette ad avere rapporti con il marito o con il partner. Un reato contro cui Paesi come l?Austria, il Regno Unito, la Namibia e Trinidad hanno iniziato a legiferare e che il 15 per cento della popolazione femminile dichiara di subire. E che dire di reati come il matrimonio precoce cui molti genitori costringono ragazzini minori di 16 anni o dei 5.000 incendi appiccati ogni anno da mariti indiani che uccidono mogli senza doti soddisfacenti? Una vera emergenza mondiale. Con grandi costi sociali ed economici per gli Stati che, secondo l?Unicef, farebbero meglio a prevenirla che curarla. L?alternativa è spendere dai 5 ai 10 miliardi di dollari l?anno, come fanno gli Stati Uniti, per curare le vittime delle violenze, cercare di catturarne gli esecutori, calmare l?opinione pubblica e pagare i migliori psicologi senza risolvere il problema.
Una strategia che potrebbe costarci molto cara: a oggi la violenza interfamigliare, come un grande vortice buio, ha fatto sparire 60 milioni di donne. E le loro famiglie lo sanno. E, purtroppo, lo sanno anche i governi che tollerano queste ingiustizie. A oggi solo 44 Paesi del mondo, dodici dei quali in America Latina, hanno adottato una legislazione specifica per combattere la violenza in famiglia, gli altri attendono. Oppure non riconoscono neppure il problema tollerando, per esempio, che nelle zone rurali del Kenya occidentale e del Ghana gli uomini adulti malati di Aids continuino a credere che avere rapporti con ragazzine vergini sia l?unica cura per la loro malattia e contagino, col consenso di tribù intere, bambine di appena otto anni. Ragazzine innocenti destinate ad allungare le lunghe fila delle donne che oggi hanno contratto l?Aids: 14 milioni alla fine del 1999.
Milioni di donne per cui avere rapporti sessuali non è una scelta: lo ha raccontato all?Unicef il 26 per cento delle donne con più di 18 anni che vivono in Zimbabwe. Paese tristemente noto per gli episodi di violenza famigliare dove, secondo un?indagine del 1996, il 32 per cento di 966 donne di una sola provincia a dichiarato di aver subito maltrattamenti fisici da parte di un membro della famiglia a partire dai 16 anni di età. Età in cui bisognerebbe stare ancora dietro un banco di scuola e non per la strada, o chiuse in un magazzino a lavorare notte e giorno. Come è accaduto a Clarita, che ha 12 anni, nelle Filippine, racconta: «Ero pronta a lavorare duro in una fabbrica di scarpe e non mi illudevo di guadagnare tanto. Ma non mi aspettavo un tale annullamento della mia dignità: costretta a lavorare fino a 21 ore al giorno, la bocca coperta da un cerotto per non parlare con le altre».
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Prima di nascere: Aborto selettivo del sesso per evitare la nascita di figlie femmine. Conseguenze sul feto delle percosse subite dalla madre in gravidanza.
Infanzia: Infanticidio femminile, vessazioni fisiche di ogni tipo, in particolari vessazioni sessuali e psicologiche
Adolescenza: Matrimonio precoce, mutilazione genitale femminile, vessazioni fisiche e sessuali, incesto, prostituzione e pornografia infantile
Maturità: Violenza nel corteggiamento, sesso legato a ragioni economiche, incesto, vessazioni sessuali sul lavoro, stupro, prostituzione forzata, tratta di donne, violenza da parte del partner, vessazione e omicidio legato alla dote, stupro coniugale
Vecchiaia: ?Suicidio? forzato, omicidio di vedove per ragioni economiche, vessazione sessuale, fisica e psicologica.
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