Politica

Da Erice a Segesta, l’arte parla meticcio

I Siciliani? Fenici, Greci, Arabi, Normanni.... Lucia Ferruzza, archeologa, dipinge il mix di culture in Sicilia

di Sara De Carli

Cercando i fili dei ricordi di scuola, ci immaginiamo la Sicilia come divisa a metà, le colonie greche da una parte e le alleate di Cartagine dall?altra. In realtà non fu così. La Sicilia è sempre stata un territorio in cui le culture e i popoli si sono mischiati e permeati. Lo dimostrano gli scavi archeologici e le opere d?arte che ci sono arrivate: un tempio dorico a Segesta, città elima; una statua greca nella roccaforte fenicia di Mozia; una cappella con dipinti islamici nella corte dei nordici Normanni. Perché l?identità forte è bella se apre agli altri; altrimenti è una prigione dorata. Sicilia, VII secolo avanti Cristo. I Greci fondanole prime colonie e per tutta risposta i Fenici, che commerciavano ambra e porpora con questa area già dal XII secolo, fondano anch?essi insediamenti stabili. Per scoprire la Sicilia di oggi partiamo da lì, da quella che non c?è più. Da Segesta e Selinunte, fino a Pirro e a Roberto il Guiscardo. Una storia che sui libri è semplificata nella contrapposizione di due blocchi: la Sicilia orientale, greca, di Siracusa, Naxos e Agrigento, contro quella punta nordoccidentale, stretta fra Palermo, Erice e Segesta, di origine fenicia. Per fortuna non è così. Altrimenti oggi non avremmo il tempio di Segesta né il suo teatro, non il Giovinetto di Mozia né la Cappella Palatina di Palermo. Il genius loci della Sicilia infatti è nella stratificazione delle culture che l?hanno percorsa, che si sono intersecate e permeate reciprocamente. A guidarci attraverso i secoli, un?interlocutrice d?eccezione: Maria Lucia Ferruzza, archeologa della Sovrintendenza di Trapani. È lei che ha scelto tre luoghi per raccontare, attraverso l?arte, questa contaminazione. Primo, Segesta. Perché Selinunte è tutto un labirinto di resti greci mentre a Segesta ci sono solo due ?cattedrali nel deserto?, il tempio dorico e il teatro? Perché Selinunte è città greca, Segesta no. Fu fondata, insieme a Erice ed Entella, dagli Elimi, una popolazione locale, che la leggenda vuole risalire ai Troiani. «A Segesta avvenne l?incontro – non solo lo scontro – tra Fenici e Greci. Perché in questo contesto furono costruiti due edifici che hanno assimilato alla perfezione il modello greco: il tempio e il teatro, così simile a una conchiglia sospesa nel vuoto, così armonizzatacon l?ambiente? Assorbire un modello estetico vuol dire assimilare anche i valori di quella cultura: in questo caso l?armonia fra parte e tuttoe quella con la natura». Il secondo luogo è Mozia, insediamento punico fuori dalle rotte turistiche. La Ferruzza lo dipinge come un posto di grande fascino, «un?isola piatta che galleggia nella laguna dello Stagnone, davanti a Marsala. Le dune di sale che riflettono il sole, i mulini, l?atmosfera impalpabile e rarefatta». Gli scavi hanno portato alla luce i resti di una città fortificata, di cui sono visibili l?area sacra, la necropoli e il Tofet, un recinto sacro dove venivano offerti alle divinità sacrifici animali e umani. Fuori dalla cinta muraria si trova il Cothon, un bacino artificiale collegato alla laguna, che serviva come arsenale. «Al museo Whitaker è conservata una statua che da sola merita una visita in Sicilia, il Giovinetto di Mozia», dice la Ferruzza. «È un giovane in piedi, dalle dimensioni più grandi di quelle di un uomo, con la tunica pieghettata che disegna le forme del corpo in modo molto sensuale, in un chiaroscuro vibrante. Non sappiamo chi rappresenti, se un auriga, un magistrato o una divinità. Certo è un personaggio di rilievo e indossa un abito punico. La cosa sorprendente è che una città dall?identità fortemente punica come Mozia, per veicolare un messaggio pubblico importante abbia scelto il linguaggio greco, le forme estetiche della cultura antagonista». L?ultimo luogo è il simbolo per eccellenza: la Cappella Palatina di Palermo, dentro il Palazzo Reale. I normanni erano illuminati,ma erano pur sempre una monarchia ieratica. Eppure la cappella che hanno voluto è la chiesa più ecumenica del mondo: «La pianta a tre navate, con le absidi, è tipicamente occidentale, i mosaici – bizantini – sono severi e ieratici, mentre le pitture sui soffitti sono islamiche, e rappresentano scene dal contenuto non religioso, come momenti di gioco o di corteggiamento». Per la Ferruzza, al di là dell?arte e della storia, tutto questo è «un messaggio importante, oggi, dal punto di vista umano: che un?identità forte e un passato glorioso non sono una gabbia dorata in cui chiudersi, ma al contrario ciò che ti apre al mondo». Da non perdere Segesta Tutti pensano sia città greca, a causa del tempio e del teatro, ma non lo è: la sua origine è indigena, elima. Da vedere il teatro, una conchiglia di pietra sospesa nel vuoto Mozia, museo Whitaker Semplice e poco decorate, e vasi corinzi, attici e talioti importati. Il giovinetto di Mozia, da solo, merita la visita Palermo, cappellapalatina Gioiello normanno: pianta occidentale, mosaici bizantini e pitture islamiche. Imperdibile il Cristo Pantocratore della cupola Erice, chiesa madre Chiesa gotica, del 1314, affiancata da un poderoso campanile isolato coronato da merli: fu una torre vedetta di Federico d?Aragona


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