Famiglia

Da che pubblico viene la cura

Sale operatorie sporche e a rischio di infezioni, corsie pericolose, pazienti senza trattati male e lasciati senza assistenza.

di Federico Cella

Se il ministero della Sanità promulga leggi e regolamenti a cui tutte le strutture sanitarie devono uniformarsi, perché proprio gli ospedali pubblici sono i più inadeguati? La serie incredibile di fatti di cronaca nera-sanitaria di queste settimane gettano un’ombra sull’intero Sistema sanitario nazionale e sui tentativi di una sua riforma. Tutti in fila e i soffitti crollano Nella sanità italiana c’è la pessima abitudine di stupirsi quando una cura va a buon fine, senza complicazioni o problemi di infezioni varie. Un’abitudine dura a morire, visti e considerati i continui episodi di malfunzionamento delle strutture sanitarie. Un buon esempio ce lo regala l’Ospedale Forlanini di Roma, dove la scorsa settimana è crollata una controsoffittatura giusto di fianco alla gente in coda davanti al nuovo Centro unico di prenotazione. Il Cup era stato inaugurato il 28 dicembre, era entrato in funzione solo il 6 aprile. Ora, ovviamente, è di nuovo chiuso. I tempi d’attesa interminabili, soffitti permettendo, sono un altro must della sanità pubblica in Italia. All’Istituto oncologico di Bari, per esempio, si va da attese normali di 5-10 giorni per le visite di controllo o di radioterapia, fino ad arrivare ad attese bibliche di 180-365 giorni per ecotomografie e mammografie, che i medici osano addirittura definire “preventive”. Di meglio riesce a fare l’Ospedale di Trieste, dove per un’operazione di cataratta alcuni pazienti hanno dovuto aspettare 2 anni. Fanno ridere i nove mesi di attesa per un’operazione al reparto di urologia del San Camillo di Roma. «Bisogna mettere in concorrenza sistema pubblico e privato, lasciando al cittadino la possibilità di scegliere. Lo dico da anni», è il senatore (Fi) Mario Palombo, che parla, dall’alto della sua lunga esperienza a capo dei Nas. «Quella degli ospedali pubblici italiani è una storia troppo vecchia. Come comandante del Nucleo antisofisticazioni ho fatto decine di ispezioni e denunce, ma poi non è cambiato nulla. Il discorso è che manca un piano organico per rilanciare la sanità in Italia e l’ultimo decreto del ministro Bindi non migliorerà le cose perché è statalista, dirigista e danneggia la salute dai cittadini». Il virus cresce nei reparti Facendo un rapido controllo fra sette dei principali ospedali pubblici italiani, risulta facile capire come, se è vero che chi ne entra malato abbia la possibilità di uscirne sano è ancora più vero che chi ne entra sano corre il rischio di uscirne malato. Fra il Niguarda di Milano, le Molinette di Torino, il Cardarelli di Napoli, il Civico di Palermo, il Policlinico di Roma, quello di Parma e quello di Bari, un buon livello di igiene è stato registrato solo a Milano e Parma. Il Niguarda si distingue per essere l’unico ad avere l’impianto elettrico a norma, il Policlinico di Parma risulta l’unico con le apparecchiature mediche a norma Cee. Un allegro quadretto, cui resta solo da aggiungere come mai molti di questi ospedali non abbiano avuto almeno una visita dei Nas. E se a al Policlinico di Roma sia i nascituri che i malati di cancro devono fare la fila per essere presi in considerazione, un dubbio viene spontaneo: meglio aspettare o meglio essere operati in strutture che tutto sono meno che igieniche? Nell’aprile ’98, all’Umberto I, quattro operati di cataratta hanno perso la vista da un occhio a causa di un’infezione contratta in sala operatoria; il 3 luglio dello stesso anno i Nas scoprono nel Policlinico romano 411 infrazioni su igiene e sicurezza. Ma queste cose succedono anche in territori inaspettati, come la ricchissima Parma dove, alla fine di giugno di quest’anno, un paziente è morto di epatite, batterio che aveva contratto nella corsia dell’Ospedale Rasori della città emiliana. “Niente” a confronto con quello accaduto alle Molinette di Torino, 10 mila malati al giorno che vanno e vengono per la più importante struttura del Piemonte. Dalle tubature dell’acqua, che risalgono agli anni Trenta, 31 malati sono stati infettati della legionella. Tra sprechi e corruzioni Un capitolo degno di una saga alla George Lucas: da De Lorenzo e Poggiolini fino a Poggi Longostrevi. L’indagine compiuta sulle strutture sanitarie incompiute o non funzionanti dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul Sistema sanitario spiega come negli anni siano stati spesi 16mila miliardi per 126 strutture ospedaliere che, a tuttora, non esistono o non sono in funzione. Numeri da far rabbrividire, come quelli risultati dalle indagini seguite allo scandalo del ’97 della camera iperbarica del Galeazzi di Milano: la camera più grande fra tutte le strutture sanitarie italiane, a disposizione di una clinica privata di Napoli, non è mai stata utilizzata per 10 anni per mancanza di un collaudo; sorte simile per quella del Cto di Bari: costata 600 milioni (in 4 anni non è mai entrata in funzione per mancanza di personale specializzato). Non c’è dunque da stupirsi per i deficit generalizzati: a Roma ,il San Camillo Forlanini nel 1995 ha registrato una perdita di 140 miliardi, il Bambin Gesù, nel ’96, “soli” 30. Le ultime righe di questo capitolo le ha volute scrivere il professor Raffaello Cortesini, primario al Centro trapianti, manco a dirlo, dell’Umberto I di Roma. Assieme a due assistenti è stato accusato di trapianti d’organi a pagamento. Lasciamo le conclusioni al senatore Francesco Carella, (Verdi), della Commissione Sanità del Senato. «La sanità in Italia non funziona. Ma non sono pessimista: la nuova strutturazione va nella direzione giusta». Ma, allora, tutti i problemi? «Allo Stato, in materia di sanità devono rimanere solo i compiti di stabilire norme e regolamenti, individuare e destinare le risorse». D’accordo, basta che queste norme e regole valgano anche per le strutture pubbliche. Mostri incompiuti per 16 mila miliardi La sanità costa cara. Peccato che i miliardi investiti in ospedali e strutture di riabilitazione sembrano essere svaniti nel nulla. La Commissione parlamentare che sta indagando sul malfunzionamento del sistema sanitario, non ha ancora presentato i risultati definitivi sulle strutture incompiute o non funzionanti. Ma alcuni dati fanno già impallidire. Primo quello degli ospedali mai completati: 120, secondo i dati dell’Eurispes, con 16mila miliardi polverizzati da espropri d’oro, appalti luculliani e tangenti spesso a ignoti. Questi buchi neri della sanità si concentrano al Centro-Sud: 34 in Sicilia, 22 in Puglia, 10 nel Lazio. Alla periferia Nord di Roma, venticinque anni fa si posò la prima pietra dell’Istituto Sant’Andrea. Sarebbe dovuto diventare il polo oncologico del Sud. Fermi i lavori dal 1974, oggi, dopo 150 miliardi, rimane solo un grattacielo da 50mila metri quadrati dove per riaggiornare le sale mediche bisogna spendere almeno altri 80 miliardi. Non va meglio al Policlinico di Bari, datato 1967, per il quale sono stati già spesi 34 miliardi per appaltare la struttura e altri 39 sono ritenuti “necessari”. A L’Aquila, l’ospedale progettato nel 1972 e ancora funzionate a metà regime (risorse erogate 300 miliardi, “necessari” altri 177). Ma la palma d’oro va probabilmente all’ospedale di Pizzo Calabro, che dopo 39 anni dall’inizio lavori, ancora si trova in fase di “completamento”.


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