Famiglia

D.i.Re: violenza domestica e assistita, questa sconosciuta

Una ricerca di D.i.Re - Donne in Rete Contro la Violenza- evidenzia il non riconoscimento della violenza domestica nei tribunali civili e per i minorenni. «Si continua spesso ad ignorare gravità ed entità della violenza assistita e delle sue conseguenze; si confonde la violenza con il conflitto; si tende a colpevolizzare la madre vittima di violenza, imputando le una responsabilità di alienazione parentale quando la madre cerca con la separazione di difendersi dall'ex partner violento e padre dei figli».

di Sabina Pignataro

Nei tribunali civili e per i minorenni, che spesso intervengono nel percorso di fuoriuscita dalla violenza delle donne madri supportate dai centri antiviolenza, «si continua ad ignorare gravità ed entità della violenza assistita e delle sue conseguenze; si confonde la violenza con il conflitto; si tende a colpevolizzare la madre vittima di violenza, imputando le una responsabilità di alienazione parentale quando la madre cerca con la separazione di difendersi dall'ex partner violento e padre dei figli». Sono i risultati drammatici che emergono da una ricerca pubblicata da D.i.Re, Donne in Rete Contro la Violenza.

L’inchiesta, intitolata Il (non) riconoscimento della violenza domestica nei tribunali civili e per i minorenni, curata dalle avvocate Titti Carrano ed Elena Biaggioni, da Paola Sdao per l’elaborazione dei dati, con il contributo delle avvocate Ethel Carri e Maria Cristina Cavaliere, mostra come «La Convenzione di Istanbul sembra di fatto sconosciuta e non viene applicata per quanto riguarda le decisioni in merito all’affidamento di figlie e figli. E si conferma il ruolo preponderante delle CTU e la conseguente vittimizzazione secondaria delle donne che hanno subito violenza nei tribunali civili e per i minorenni.

Questi i principali risultati emersi:

Il (non) riconoscimento della violenza
Nei casi seguiti dalle avvocate D.i.Re, nelle decisioni adottate dai tribunali civili e per i minorenni, «la violenza subita dalla donna e la violenza assistita dai minori non viene sostanzialmente riconosciuta», nonostante le avvocate hanno depositato documentazione comprovante, come denunce, referti, misure cautelari emesse in sede penale, decreti di rinvio a giudizio, sentenze di condanna e relazioni del Centri Antiviolenza (63%).

«Anche un uomo maltrattante può essere un buon genitore»
Dalla ricerca emerge chiaramente che “ancora oggi per i Tribunali l’obiettivo principale è salvaguardare e conservare ‘il rapporto con la prole’, ovvero il legame genitore-figlio/a, indipendentemente dalla presenza di condotte violente nei confronti della madre. «La convinzione radicata è che un uomo maltrattante possa essere un buon genitore», scrivono le avvocate Carrano e Biaggioni.

Otto bambini su dieci affidati anche al padre maltrattante
La diretta conseguenza di quanto scritto sopra è il fatto che nell’ 88,9% dei casi presso il Tribunale ordinario (e nel 51,9% dei casi presso il Tribunale per i minorenni) sia stato disposto l’affidamento condiviso tra i genitori anche in presenza di denunce, referti, misure cautelari emesse in sede penale, decreti di rinvio a giudizio, sentenze di condanna e relazioni del centri antiviolenza.

Le CTU rivittimizzano le donne che hanno subito violenza
L’inchiesta ha approfondito il funzionamento delle CTU, le consulenze Tecnico d'Ufficio prodotte dallo professionista che lavora al fianco del Giudice, che hanno un ruolo essenziale, determinante, dato che, come si legge nel rapporo, «le sentenze sono di fatto scritte sulla base delle CTU». A tal proposito, le avvocate confermano «nella totalità dei casi il/la giudice, acquisita la relazione del/la CTU, assume nel proprio provvedimento (definitivo o interlocutorio) i suggerimenti proposti dal/la CTU, senza sottoporre la relazione peritale ad alcun giudizio critico».
Il problema, però, evidenzia il rapporto, è che nell’83% dei casi i quesiti ai quali le CTU sono chiamate a rispondere sono standardizzati e non definiti in base al caso preso in esame, e ben nel 94% dei casi non sono poste domande in merito alla violenza subito e/o assistita. Si tratta cioè di quesiti che ancora una volta indagano quello che i magistrati ritengono essere un conflitto tra i genitori e non una situazione di violenza.

In Tribunale manca la formazione
Sul tema delle CTU era intervenuta in passato anche Paola Di Nicola Travaglini, la giudice che da decenni sta portando avanti un vigoroso lavoro di formazione e sensibilizzazione all’interno della magistratura. «Ci sono colleghi ed avvocati che faticano a riconoscere il dramma dei femminicidi e della violenza. Come loro, talvolta anche alcuni psicologi e assistenti sociali non hanno ricevuto la necessaria preparazione accademica e professionale. Ecco perché la formazione, nei tribunali, come nelle scuole e nelle università, è essenziale».

La PAS è onnipresente
Il 74,1% delle avvocate dichiara che la PAS (in inglese Parental Alienation Syndrome), tradotta come sindrome da alienazione parentale e definita anche "sindrome della madre malevola", è citata nelle relazioni delle CTU, insieme ad altri comportamenti manipolatori da parte della madre. Probabilmente questo deriva dal fatto che la ricerca ha preso in esame i procedimenti giudiziari presso i tribunali civili e per i minorenni nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2017 e il 30 giugno 2019.
Successivamente, nel maggio 2021, con l’Ordinanza n. 13217/21 la Suprema Corte di Cassazione ha riconosciuto l’infondatezza di una teoria «molto contestata dalla comunità scientifica e che però viene troppo spesso usata nei tribunali contro donne e bambini, soprattutto nei casi di violenza domestica».

La mediazione familiare: vietata ma imposta di fatto
La Convenzione di Istanbul vieta la mediazione obbligatoria nei casi di separazione e affidamento che coinvolgono donne che hanno subito violenza. Eppure, quasi il 65% delle avvocate dichiara che nei casi considerati ai fini della rilevazione, il Tribunale ordinario invita i genitori alla mediazione familiare, una percentuale inferiore si registra nei Tribunale per i Minorenni (35,2%). Una percentuale ancora più alta di invito alla mediazione familiare si registra da parte del servizio sociale (70%).
Questa prassi, spiegano le curatrici “è in aperta violazione dell’articolo 48 della Convenzione di Istanbul e produce una vittimizzazione secondaria”.

Cosa fare?
Per le curatrici della ricerca, la risposta sta tutta nelle raccomandazioni del GREVIO, il Gruppo di esperte/i sulla violenza contro le donne, che nel suo rapporto sull’applicazione della Convenzione di Istanbul in Italia pubblicato a gennaio 2020, è stato molto chiaro, e che sono riportate per esteso nelle conclusioni della ricerca.

D’altro canto, segnalano le avvocate, lo stesso Consiglio Superiore della Magistratura nella Risoluzione sulle linee guida in tema di organizzazione e buone prassi per la trattazione dei procedimenti relativi a reati di violenza di genere e domestica pubblicata il 9 maggio del 2018, dava già indicazioni in merito, che continuano a essere disattese.

“Questa ricerca vuole essere un contributo al necessario e urgente ripensamento del funzionamento della giustizia civile e minorile rispetto alla violenza contro le donne e alla violenza assistita”, afferma in conclusione la presidente di D.i.Re Antonella Veltri. “D.i.Re continuerà a impegnarsi per porre fine alla vittimizzazione secondaria di donne e minori, una violenza istituzionale che non dovrebbe esistere più in un paese che ha firmato e ratificato la Convenzione di Istanbul”.

Foto di apertura:
Illustrazione tratta da “Possiamo tenerlo con Noi”, albo illustrato dedicato alla violenza assistita (di Maria Grazia Anatra e Serena Mabilia, Matilda editrice). Per cortesia dell’autrice.
Il testo è stato selezionato da Amnesty International per la realizzazione di un Progetto in Marocco e tradotto in lingua araba all'interno del Progetto “Rights by my side”.

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