Volontariato
Curve uguali, direzioni opposte
Italia e Inghilterra, due modelli che più diversi non si può: due casi a confronto, di Stefano Arduini e Maurizio Regosa
di Redazione
Caso Milan:
Quel gran pasticcioin gradinata tra ultrà e società
26 novembre 2005, si gioca Milan-Lecce. Per la prima volta dopo 37 anni lo striscione della Fossa dei Leoni non compare sugli spalti di San Siro. È il segnale del terremoto che ha sconvolto gli equilibri della curva sud, la tradizionale tana del tifo rossonero. L?abbandono della Fossa è una dichiarazione di sconfitta nei confronti di altri due gruppi ultrà, Commandos Tigre e Brigate Rossonere. Sigle che, al contrario dei Leoni, vantano buoni rapporti con la società di via Turati. Spiega a Vita, dietro la garanzia dell?anonimato, un vecchio ex membro del più vecchio gruppo ultrà d?Italia : «Brigate e Commandos hanno sempre goduto di un canale privilegiato con i piani alti».
Come avviene in molte altre piazze italiane, i termini del ?contratto? sono semplici, almeno stando a quel che si dice in curva: «La società evita le contestazioni e il pagamento di multe per i disordini dentro lo stadio e pochi capi ultrà si assicurano la gestione di migliaia di biglietti e talvolta perfino uno stipendio, come accaduto con alcuni esponenti che trovano lavoro come guardie private». Il trait d?union fra via Turati e la curva sud ha un nome e cognome, spiegano i ben informati: è Giancarlo Capelli, detto il Barone. Proprio lui, con il benestare della società, avrebbe dovuto essere il beneficiario maggiore dell?addio della Fossa.
Arrivano i guerrieri
E invece le cose sono andate diversamente. Sulla ribalta delle gradinate rossonere si affacciata una nuova realtà: i Guerrieri Ultras. Evidentemente in città il business dei biglietti ha incominciato a far gola. Soprattutto dopo il vuoto di potere lasciato dalla Fossa «I Guerrieri però», rivela la nostra fonte, «non c?entrano nulla col calcio, sono delinquenti comuni con legami mafiosi. Allo stadio non ci vanno nemmeno, controllano tutto da fuori via telefonino». Nel mondo ultrà milanese la tensione arriva alle stelle. La società dimostra di non riuscire più a controllare il meccanismo. Il 17 ottobre scorso un supporter molto vicino al Barone viene gambizzato nel corso di una sparatoria di fronte a un centro commerciale di Sesto San Giovanni. Passano poche settimane e il 25 gennaio, in occasione di Milan-Roma di Coppa Italia, un gruppo di ultrà pesta a sangue (una frattura cranica e uno sfregio permanente al volto) un altro esponente della vecchia guardia del tifo rossonero, Walter Settembrini, anche lui vicino ai Commandos. Sono in molti a sospettare che dietro i due agguati ci siamo proprio i Guerrieri Ultras. Le procure di Monza e Milano aprono due fascicoli. Le indagini, fanno sapere i magistrati, portano alla luce uno scenario di pressioni nei confronti della società consistiti nella minaccia di disordini durante le partite da parte di formazioni emergenti che tentavano di farsi accreditare e ottenere vantaggi economici legati a biglietti, gadget e striscioni. L?obiettivo insomma era quello di scalzare Commandos e Brigate dalla loro posizione di privilegio anche nei rapporti con la società. Del resto, in un interrogatorio successivo alla sparatoria, è lo stesso Barone ad ammettere di comprare e rivendere biglietti con un ricarico, «come succede in ogni punto di rivendita, anche per andare a teatro».
Una dichiarazione che induce gli inquirenti a convocare anche il vicepresidente del Milan, Adriano Galliani. La sua, avvenuta il 9 gennaio, è una lunga e interessante deposizione in cui il dirigente tiene un comportamento che i magistrati, non a caso, definiscono «collaborativo». Lunedì 12 febbraio, intanto, a Milano si apre il processo a carico dei due tifosi milanisti autori del pestaggio di Settembrini. La matassa è ancora intricata. Forse però qualcuno ha finalmente capito che mettersi allo stesso tavolo con certi personaggi non è poi così conveniente.
Caso Supporters direct:
I tifosi in cooperativa diventano padroni
Per la tifoseria violenta l?alternativa è davvero fra la ?tolleranza zero? e il sociologismo a buon mercato alla Mancuso? Certo, occorre superare la «cultura del nemico», come la definisce il ministro Melandri. Ma come si fa? Spiace dirlo ma per quanto sacrosanto non è sufficiente premere il pedale della repressione. Allungare l?elenco dei divieti serve a poco. Siamo pur sempre nel regno del «deroga proroga surroga», come ha definito il nostro Paese il vicepresidente della Commissione Europea, Franco Frattini.
In questi giorni si cita spesso il caso della Gran Bretagna, che ha saputo affrontare e risolvere questo problema. Si tralascia però di precisare che l?esempio inglese non è fatto solo di biglietti nominali e stewards privati. Ma anche di politiche sociali intelligenti ed efficaci. Come suggerisce l?iniziativa Supporters Direct, sovvenzionata inizialmente dallo Stato e che (nota bene) da aprile sarà finanziata dal Football Stadia Improvement Fund principalmente grazie ai diritti televisivi. Recentemente, grazie a questo volano, il Notts County, il club di calcio più antico al mondo, è stato rilevato dai propri tifosi. Fra Scozia e Inghilterra con questo sistema vengono governati altri dodici team.
Supporters Direct, nata nel 2000, è una rete creata per dare ai tifosi la possibilità di prendere parte alla gestione del proprio club attraverso una partecipazione finanziaria. «L?obiettivo», spiega a Vita Kevin Rye, communications executive di SD, «era fornire ai sostenitori l?opportunità di essere rappresentati nei consigli di amministrazione in modo da promuovere i concetti di stabilità finanziaria, gestione responsabile e fare in modo che la squadra non perdesse di vista i legami con i tifosi e la comunità che rappresenta». In questi anni sono state coinvolte quasi 600mila persone e sono sorti oltre 140 Supporters Trust (quelli piú famosi di Arsenal, Tottenham e Manchester United in Premier League), ovvero società cooperative, gestite con metodo democratico e senza fini di lucro.
Gli euro degli hooligan
Certo per partecipare al progetto i club devono dimostrare di essere disponibili a una gestione democratica e aperta, di essere inclusivi e quindi di accogliere le tifoserie (il che rende le loro scelte anche più trasparenti). Solo se dotati di tali requisiti possono accedere al registro formale che li regola e godere dell?accompagnamento della SD, che identifica e promuove best practices, organizza corsi di formazione alla democrazia, sostiene nelle campagne informative e dal punto di vista legale. Sostiene cioè un percorso virtuoso che consente di ricostituire il tessuto sociale delle tifoserie, che a quel punto non si percepiscono più come ?corpi estranei? ma come soggetti attivi operanti nei club visti come ?istituzioni civili di comunità?. Le oltre 140 organizzazioni inglesi vivono soprattutto delle quote pagate dai soci. Cifre alla portata di tifosi, naturalmente. Che del resto non sono necessariamente piccole. Va infatti ricordato che un vero hooligan, come ha dimostrato una ricerca sempre inglese, è disposto a investire circa 2.800 euro a stagione per seguire la propria squadra anche nelle trasferte. Soldi che almeno in parte possono essere riservati al club.
Un? esperienza sia esportabile? Secondo Rye, «coinvolgere i tifosi anche in Italia potrebbe essere un?idea vincente. Già funziona in Germania dove i tifosi possiedono quasi tutte le società della Bundesliga o in Spagna dove Siviglia, Real Madrid e Barcellona sono governati dai propri soci». Di recente la Uefa ha accettato di finanziare una verifica di fattibilità per appurare se questa questa formula originale possa essere proposta anche altrove.
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