Famiglia

Curiosi sempre missionari mai

"La guerra è come quando arriva una malattia in famiglia: fa saltare fuori il meglio e il peggio delle persone. Intervista a Toni Capuozzo.

di Paolo Manzo

Dici Capuozzo e pensi all?inviato di guerra per eccellenza, che ha nel suo immaginario chiunque voglia fare questo lavoro. Da Sarajevo in avanti, lui racconta i conflitti attraverso piccole storie. «Le più importanti», spiega a Vita che lo ha intervistato sul mestiere, sui rischi e sui tanti perché, soprattutto in Iraq «dove il ricatto può essere sia economico sia politico». Vita: Oltre l?Italia, ci sono punti in comune coi giornalisti rapiti di altre nazionalità? Toni Capuozzo: Guarda, tutti i sequestri sono stati effettuati dai sunniti, tranne due casi: un americano che s?occupava di archeologia e che venne liberato subito, a Nassiriya, e un suo connazionale sequestrato a Bassora. Senza contare il sottoscritto che, con la mia troupe, sono stato sequestrato per una ventina di minuti dagli sciiti. Insomma, tutti sequestri conclusi in breve e senza sangue. Il resto è un??industria sunnita?. Comunque ogni storia è diversa. I francesi incapparono per caso in un ?posto di blocco?, Baldoni fu preso in zona sunnita dopo un attacco a un convoglio della Croce Rossa che ritornava da Najaf, città sciita. Vita: Già, Baldoni, che idea s?è fatto sulla sua uccisione? Capuozzo: Che è stato sfortunato, ma che ci sono state anche delle colpe. Non voglio ricordare ma, se ci si fosse mossi tempestivamente… Invece anche noi giornalisti abbiamo creduto che, forse, stesse intervistando Moqtada Al Sadr a Najaf. In una parola: per Baldoni abbiamo buttato via due giorni preziosi. Vita: Il ruolo di inviato di guerra che implicazioni sociali ha? Capuozzo: Guarda, io non credo assolutamente a chi parla di missione, di alto valore della professione, francamente non credo a queste cose. Ho alle spalle tutta l?esperienza di Sarajevo, dove la stampa fece del suo meglio raccontando gli orrori della guerra d?assedio contro una popolazione civile? Ebbene, non si mosse foglia? Vita: Ma allora perché fa l?inviato di guerra? Capuozzo: Perché mi piace molto la professione, altrimenti non si spiegherebbe perché si debba rischiare la pelle. Di base c?è una curiosità forte: la voglia di capire e partecipare ad uno scenario che è una specie di? prova della verità. Per tutti. Vita: In che senso, scusi? Capuozzo: Ma sì, una prova della verità delle amicizie, delle tue capacità professionali? la guerra è una prova della verità per un?intera società. Esemplificando la guerra è come una malattia in famiglia: salta fuori il meglio e il peggio delle persone. È come quando diventa invalido il vecchio nonno: un figlio se ne occupa, un altro no. Un amico si ricorda di lui, l?altro gli gira alla larga. La guerra è sempre una disgrazia sociale, che però fa emergere il meglio e il peggio delle persone. Quindi è ovvio che, per chi è interessato a raccontare le persone e le esperienze collettive, è uno scenario in cui tutto è enfatizzato, sottolineato. In guerra tutto è migliore alla massima espressione e peggiore all?ennesima potenza. Per questo, per chi vuole raccontare la realtà, è uno scenario importante. Vita: Non ha mai rimpianto, da casa, il suo essere inviato di guerra? Capuozzo: Mi è successo che, essendo le guerre dei fenomeni che si trascinano nel tempo, io abbia sviluppato degli affetti? Sì, mi è successo di non voler abbandonare. Però, ripeto, parlare in modo magniloquente di testimoni del nostro tempo mi sembra esagerato. No, guarda, in guerra ognuno racconta un suo punto di vista e rischia anche perché? gli piace rischiare, insomma? Sapendo che è un prezzo da pagare per vedere certe cose, per assistere a certi momenti, per vedere come va a finire insomma. Vita: Quando rientrerà in Iraq? Capuozzo: Non presto. Spero.


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