Mondo

Cure gratis per tutti. Lo sciopero al contrario dei medici spagnoli

La mobilitazione contro la riforma sanitaria della scorsa estate sta coinvolgendo sempre più ospedali e medici

di Emanuela Borzacchiello

da Madrid

Lunedì 10 dicembre 2012. Francisco ha il camice addosso, bianco e senza neanche una grinza. È un medico che corre sempre. Specializzato in medicina d’urgenza, dribbla da 10 anni tra stanze e corridoi del pronto soccorso e non si sente a suo agio se non viene svegliato durante la notte dalle sirene di un’autobulanza.

Francisco continua ad avere il camice addosso anche se da metà novembre non corre più. Il pronto soccorso del “suo” ospedale si è fermato. È uno dei 100 con il camice bianco, tra medici, infermieri e personale amministrativo, che hanno deciso di occupare il proprio ospedale: Hospital La Princesa di Madrid.

“In realtà mi sento un pò in imbarazzo”, dice Francisco, “Studente modello prima, medico un pò serioso poi. Non avrei mai creduto di occupare il nostro ospedale”, e poi con fermezza ci snocciola tutti i motivi: “quando ci hanno comunicato la decisione di chiudere il pronto soccorso e la terapia intensiva, abbiamo organizzato riunioni, assemblee, dibattiti. Questo ospedale ha un’utenza molto vasta e chiudere due reparti significa togliere alla cittadinanza il diritto di accesso alla possibilità di cura. Dopo aver valutato tutte le varie opzioni, abbiamo deciso per l’occupazione. Il nostro obiettivo non è chiuderci dentro, ma aprirci verso l’esterno. Prima e dopo l’occupazione abbiamo sempre cercato un dialogo costante, soprattutto con la cittadinanza. Sensibilizzare le persone del quartiere, informarli che la chiusura di un reparto oggi non è l’anticamera della perdita di altri servizi domani, ma significa cancellare nel presente il diritto alla salute”.

Agosto-Novembre 2012. La riforma sanitaria tre mesi dopo. Dall’entrata in vigore della riforma sanitaria (vedi numero di Vita Magazine, agosto 2012) con il suo carico di 6miliardi di tagli, la situazione è precipitata. Un blackout sanitario che si declina in liste di attesa più lunghe, aumento del costo dei servizi e dei farmaci, chiusura di reparti, riduzione del personale, ma soprattutto l’esclusione dal diritto di accesso alla sanità pubblica di quella parte della popolazione considerata più a rischio, soprattutto in una grave situazione di crisi economica. Non hanno più diritto ad avere la tessera sanitaria le persone disoccupate non più coperte da cassa integrazione e le persone migranti senza permesso di soggiorno.

Si sciopera lavorando. Al cortocircuito del diritto di accesso alla sanità pubblica e universale, medici, infermieri, personale amministrativo hanno risposto proclamando uno sciopero generale indefinito che è iniziato a fine novembre. Sciopero indefinito, che a tutt’oggi non vede margini di contrattazione e assume varie forme di protesta e di azione: non solo astensione dal lavoro, ma lavorare non seguendo i “dettami” imposti dalla riforma sanitaria. Molti medici hanno deciso di scioperare continuando a curare gratuitamente nelle strutture pubbliche tutte le persone escluse dal diritto alla salute dalla riforma sanitaria. “Il governo ci ha detto che il nostra sistema sanitario non era più sostenibile”, afferma Cristina Castañeda, ginecologa, in sciopero indefinito dal 26 novembre, “il problema sono stati gli sprechi, le risorse investite in modo sbagliato, il continuare a credere che l’esternalizzazione dei servizi fosse la strada migliore anche quando i costi aumentavano. Oggi dai tagli si passa alla privatizzazione delle strutture pubbliche, senza un’analisi previa dell’esistente, uno studio dei vantaggisvantaggi soprattutto in alcuni territori e per alcune classi sociali”.

Ancora lunedì 10 dicembre 2012. Oggi si celebra la giornata internazionale dei diritti umani e volevamo raccontarvela seguendo la storia di un blackout sanitario che è capace al tempo stesso di riaccendere i riflettori sull’importanza del diritto di accesso alla sanità pubblica e gratuita. Francisco ci racconta che di notte non riesce più a dormire bene, “non ci sono sirene o urgenze che mi svegliano all’improvviso. Ma in questi giorni sento che curo in un altro modo i miei pazienti. Questa è una questione di diritti umani ”.
 


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