Famiglia

Cura gli emarginati. Invisibile come loro

Roma, l’ospedale S. Gallicano si è trasferito. Dimenticando l’ambulatorio dei poveri

di Barbara Fabiani

Chi ha detto che lavorando sodo, con professionalità e impegno, alla fine si ottenga il giusto riconoscimento? «Il prossimo che mi dà una pacca sulla spalla lo aggredisco», ormai nella voce di Aldo Morrone resta spazio solo per il sarcasmo. Il direttore del primo ambulatorio pubblico per immigrati di Roma (e forse d?Italia) e i suoi collaboratori da 5 mesi continuano a lavorare nell?ospedale San Gallicano ormai svuotato, perché la struttura si è trasferita nel nuovo polo ospedaliero a Mostacciano, periferia sud. Come invisibili per la sanità pubblica, Morrone e i suoi continuano a occuparsi di altri fantasmi: poveri, zingari, prostituite, immigrati. «Per due volte la direzione sanitaria mi ha garantito la disponibilità di locali nel nuovo ospedale», racconta Morrone, «poi hanno fatto marcia indietro. La terza proposta me l?hanno mostrata sulla carta perché l?ambulatorio sarebbe ancora da costruire. Come faccio a fidarmi? E se ce ne andiamo da qui, come faranno i nostri pazienti a raggiungerci a 15 chilometri di distanza?». L?avventura di Morrone inizia nell?85, quando don Luigi di Liegro gli chiese di curare gli stranieri che arrivavano alla Caritas. Si comincia visitando 4 o 5 persone al giorno, fuori orario, nella camera mortuaria; oggi le persone assistite giornalmente sono cento, e in 15 anni in 50mila hanno ricevuto una visita. Dal ?96 l?ambulatorio occupa un salone concesso dalla direzione, ci lavorano tre medici, sei borsisti, dieci mediatori culturali e trenta volontari. «Aspettano che ci arrendiamo», dice Morrone, «e lasciano il servizio in agonia». Con le sue 50mila cartelle cliniche, 200 articoli scientifici, 10 libri e un corso in Medicina della migrazioni. Nel ?98 la Regione lo ha riconosciuto come ?Centro di riferimento e consulenza? per la formazione di operatori sociosanitari, nel ?99 il Comune l?ha indicato come sede di un Osservatorio permanente sulla popolazione senza fissa dimora, ma di fondi non si parla. Il trasferimento potrebbe essere il colpo di grazia. «Da un anno chiedo di essere ricevuto da Veronesi», denuncia questo donchisciotte in camice, al quale 20 anni di lotte contro i mulini hanno insegnato come ci si sente a essere emarginati.


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