Welfare

Cultura e impresa sociale: cosa manca?

di Flaviano Zandonai

Raduno gli appunti in vista del seminario su impresa sociale e produzione culturale che organizzeremo presso il Teatro dell’Elfo martedì prossimo. Un’anteprima del Workshop sull’impresa sociale che si svolgerà qualche giorno dopo a Riva del Garda. Perché l’impresa sociale può funzionare anche come industria culturale?

Vedo almeno quattro ragioni. In primo luogo la produzione culturale genera impatto sociale allargato con riscontri molto ben rendicontati sul benessere (anche a livello fisico) delle persone che a vario titolo ne fruiscono. La seconda ragione è che si tratta di iniziative labour intensive – come dimostrano i dati Unioncamere riportati nel magazine in edicola – e, in molti casi, a bassa intensità di capitale. In terzo luogo si tratta di una risorsa disponibile in quantità e qualità notevoli nel nostro paese e in buona parte da rigenerare. Infine produrre cultura significa spesso confrontarsi con l’innovazione.

Tutti ingredienti che, in altri ambiti, hanno fatto da innesco per importanti processi di sviluppo dell’impresa sociale. Invece nel campo culturale non si ravvisa la stessa intensità, anche se non mancano le buone pratiche. Come mai? In un articolo apparso sul domenicale de Il Sole 24 Ore Pierluigi Sacco chiama in causa una ragione “culturale”, una distorsione che impedisce di cogliere le diverse fonti di “valore aggiunto” che fanno da volano per lo sviluppo del settore. All’opposto si potrebbero evidenziare i vincoli di ordine normativo e regolamentare che hanno rallentato l’affermazione dell’impresa sociale. Nel mezzo c’è un’altra causa di non poco conto, ovvero che non si è costruito un ecosistema di servizi, reti, policy makers, finanza specializzata in grado di sostenere le iniziative d’impresa sociale culturale, “condannando” quelle esistenti a un’esistenza eroica (e solitaria) e quelle potenziali a rimanere tali.

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