Welfare

Cuba: liberato il poeta Raul Rivero. “Sono solo uno che scrive”

Incarcerato dal governo di Castro durante la raffica di condanne per "delitti d'opinione" contro i dissidenti nel marzo del 2003. Riportiamo qui un suo scritto

di Benedetta Verrini

Dopo venti mesi di carcere, ieri a Cuba è stato liberato il poeta Raul Rivero. Era stato incarcerato dal governo di Castro durante la raffica di condanne per “delitti d’opinione” contro i dissidenti nel marzo del 2003. Gli imprigionati sono 74. Di loro, solo 5 finora sono stati liberati. Riportiamo qui un suo scritto sulla Nacion, pubblicato nel 2002. S’intitola: “Sono solo uno che scrive”. La Legge sulla protezione dell’indipendenza nazionale e dell’economia di Cuba consente alle autorità del mio paese di condannarmi alla reclusione per l’unico atto sovrano che ho compiuto fino da quando ho avuto l’ uso di ragione: scrivere senza essere sotto dettatura. La strada che ho intrapreso qualche anno fa, dopo una rottura totale con la stampa governativa e i media culturali, mi ha trasformato in in un essere umano differente, qualcuno che si è liberato dalla propria servitù, qualcuno che in circostanze ostili e minacciose può cominciare il viaggio verso la libertà individuale. Paura, prigione e persecuzione mi sono serviti solo a dare maggior valore a queste scoperte. Hanno contribuito al fatto che la mia devozione alla sovranità dell’individuo è ora molto più che un’idea o una necessità: è un insopprimibile istinto. E così, un ordine scritto nell’inchiostro sbiadito dell’inganno politico e avvolto in rozzi trucchi per far sembrare che noi, un piccolo gruppo di giornalisti, lavoriamo a Cuba come complici dei trafficanti di droga o mercenari salariati dagli Stati Uniti, mi produce dentro solo un misto di ripugnanza. Gli anni di prigione che la legge promette con tanta generosità devono essere guardati con un senso di costernazione che va oltre la paura del carcere e della punizione. Essi significano presentare la nazione cubana come una cisti tribale nel corpo dei Caraibi, chiusa a ogni informazione e discussione di idee, lontana dall’evoluzione e dallo scambio. Ho risposto alle armi spianate da questa nuova legge, agli insulti di oscuri funzionari e impiegatucci del giornalismo, alle telefonate minacciose che mi arrivano in casa con la gioia di sapere che sono libero, la sicurezza che fare giornalismo con obiettività e in maniera professionale  e scrivere le mie opinioni sulla società in cui vivo non può essere una grave offesa. Non posso sentirmi colpevole. E’ quasi come se mi avessero accusato di respirare, o come se  avessero chiesto di condannarmi perché amo le mie figlie, mia madre, mia moglie, mio fratello, i miei amici. Non posso convincermi che sono un criminale perché ho raccontato con precisione il dramma di più di 300 prigionieri politici, oppure scritto che un palazzo della Vecchia Avana era stato demolito, oppure pubblicato una intervista con un cubano che vuole una società pluralistica, completa di tanto di libertà di espressione. Nessuno, nessuna legge potrà farmi assumere la mentalità di un criminale soltanto perché do la notizia dell’arresto di un dissidente o denuncio l’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari di base a Cuba o perché pubblico un commento in cui spiego che mi sembra un disastro che migliaia e migliaia di cubani lascino ogni anno il loro paese per andare in esilio negli Usa. Nessuno può farmi sentire come un criminale, un agente nemico, o qualcuno  che non ama il suo paese. O farmi credere a qualcuna di quelle altre assurde accuse che il governo usa per degradarmi ed umiliarmi. Sono soltanto un uomo che scrive. Un uomo che scrive nella terra in cui è nato e dove sono nati i suoi nonni’.


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