Economia

Csr, sostenibilità, impatto: il pericolo del gattopardismo

Possiamo aggettivare un modello di generazione di valore con responsabile, sostenibile oppure ad impatto senza però spostarne le pietre angolari, cambiare tutto appunto senza cambiare. Eppure, la crisi - che non è più soltanto economica, ma profondamente ambientale e sociale - dovrebbe interrogarci sull'urgenza di un radicale riposizionamento del sistema produttivo

di Federico Mento

In uno dei passaggi più noti del Gattopardo, straordinario capolavoro di Tomasi di Lampedusa, Tancredi, esplicitando al Principe zio la sua intenzione di unirsi al corpo di spedizione di Garibaldi, pronuncerà una frase destinata a farsi motto popolare: “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”. In questo passaggio, così breve e, allo stesso, così affilato, si può leggere in controluce il tratto distintivo delle classi dirigenti del Paese degli ultimi due secoli. I passaggi cruciali della storia italiana sono segnati, appunto, dalla cifra del trasformismo e dell'opportunismo. Dal rabberciato Risorgimento, alla traballante unità del Paese, passando per le scalcinate imprese coloniali, la tragica impreparazione del primo conflitto mondiale con la “vittoria mutilata”, il dramma del totalitarismo, l'orrore della Seconda Guerra Mondiale, la storia repubblica dal secondo novecento ad oggi.

Il cambiamento di “maniera” ha come obiettivo addomesticare il conflitto, ai rivolgimenti improvvisi si preferisce di ricorrere all'adozione di strategie mimetiche: tutto, in apparenza, cambia, affinché rimanga come è. Negli ultimi anni, abbiamo assistito all'emergere di vari paradigmi, dal modello responsabilità sociale d'impresa, al più recente tema della sostenibilità, per arrivare, oggi, al concetto dell'impatto. Al di là della raffinatezza teorica di queste paradigmi – talvolta molto modesti – l'impressione è che, almeno nel contesto italiano, i passaggi non siano avvenuti attraverso dei “salti” rivoluzionari, per usare una fortunata espressione dell'epistemologo Thomas Kuhn, quanto piuttosto per “traslitterazione”, senza produrre delle discontinuità profonde a livello sistemico. Posso aggettivare un modello di generazione di valore con responsabile, sostenibile oppure ad impatto senza però spostarne le pietre angolari, cambiare tutto appunto senza cambiare. Eppure, la crisi – che non è più soltanto economica, ma profondamente ambientale e sociale – dovrebbe interrogarci sull'urgenza di un radicale riposizionamento del sistema produttivo, sulla necessità di investimenti poderosi nell'innovazione dei modelli affinché si possa generare un cambiamento che non sia “gattopardesco”. Su questo tema, è recentemente intervenuto, con grande vigore e lucidità, Mario Calderini, ribadendo appunto il rischio di “lateralità” delle istanze di trasformazione, rispetto ai modelli di generazione di valore. Al contributo di Mario, ha fatto seguito un’interessante riflessione di Davide Dal Maso che, per riprendere il binomio strategia-tattica, evidenziava la necessità di non dismettere, in chiave tattica, la strumentazione della sostenibilità, per non perdere il “grip” sui processi di trasformazione delle grandi realtà produttive e quindi allontanarsi dall’obiettivo strategico del cambiamento.

Se sulla strategia possiamo certamente trovare dei punti di incontro, sulla tattica, faccio davvero fatica a comprendere quali siano le mosse più opportune, così come le alleanze da scegliere. Certamente, la prima sfida da affrontare è sul piano delle idee, provando ad affermare un’egemonia discorsiva, che non sia solo la ricerca della purezza filologica, quanto piuttosto il tentativo di affermare una visione potente di trasformazione, radicale, per dirla come Calderini o, per riprendere al suggestione del Gattopardo, un’istanza di cambiamento che cambi davvero tutto.


*Ceo di Human Foundation

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