Economia

Csr Manager, tanti nomi Un unico obiettivo: creare il cambiamento

I risultati di una ricerca e le voci dei protagonisti

di Redazione

Il termine più in uso è quello di Csr manager e sta ad indicare la figura a cui le aziende affidano il presidio della responsabilità sociale d’impresa. Si tratta però di una figura che, nonostante stia iniziando a diffondersi anche in Italia, ha dei contorni ancora non ben definiti: in riferimento al ruolo, ai poteri decisionali, alle competenze, al rapporto coi vertici e con le altre funzioni aziendali.
Csr manager. Una figura, tanti nomi. È grande la varietà dei termini con cui le aziende identificano la posizione: oltre a Csr manager si trovano anche Sustainabiliy manager, responsabili per le politiche sociali e ambientali e, magari Oltremanica o ancor più Oltreoceano, Business ethics officer.
Ciò non vuol dire che ci sia confusione, bensì che il grado di diversità espresso dalle aziende, che è anche una ricchezza, sia piuttosto elevato. Una maggiore omogeneità nell’inquadramento del Csr manager, però, potrebbe forse servire ad accrescerne riconoscibilità e autorevolezza, all’interno e all’esterno.
Da qualche anno per promuovere questa figura è attivo il Csr manager network Italia, associazione che riunisce gran parte dei responsabili aziendali italiani della Csr. E che ai primi di dicembre, in occasione del terzo convegno nazionale, ha presentato una ricerca significativamente intitolata «Csr manager: quali competenze? Quale futuro?».
La ricerca ha indagato, interpellando le quasi cinquanta aziende aderenti al network, quali siano oggi il ruolo e le competenze che i Csr manager attivano, non a livello teorico ma concretamente, sul campo, in relazione a specifici progetti operativi. E quale sia il loro contributo al successo di tali progetti. Ne è emerso un identikit interessante, utile per tentare di tratteggiare la possibile evoluzione del Csr manager e di comprendere in che modo le aziende si pongono e soprattutto si porranno verso le istanze della responsabilità sociale.
Il Csr manager è innanzitutto un ideatore, un promotore di attività che senza il suo stimolo probabilmente non si realizzerebbero. È un agente di cambiamento e innovazione per l’impresa, capace di anticipare le sfide poste dagli stakeholder e in generale dal contesto in cui si muove. È quello che si dice un’anima critica, grande comunicatore, sa coinvolgere, creare consenso e trasmettere la cultura aziendale, in particolare le norme non scritte che spesso più di quelle formalizzate regolano la vita aziendale. Il suo ruolo non è tanto operativo quanto di influenza strategica. Attraverso quella che la ricerca definisce la sua “intelligenza sociale”, inoltre, è un potente fattore di collante fra le varie funzioni aziendali. E contribuisce non poco al conseguimento di buone performance nei progetti in cui è parte attiva.
Questi i risultati della ricerca. Ma quanto rispecchiano l’esperienza quotidiana di un Csr manager? In quale direzione sta effettivamente evolvendo il suo ruolo? E la crisi ha accresciuto o meno l’importanza della sua funzione?
«Credo che tutti i Csr manager vorrebbero ritrovarsi nel profilo, bellissimo, delineato nella ricerca», dice Manuela Macchi, Head of sustainable development di Holcim Italia, «ma paradossalmente può essere più facile avere riconoscimento all’esterno. Più che altro nelle aziende c’è resistenza al cambiamento, mentre il nostro ruolo è di agenti del cambiamento. Non c’è ancora un profilo chiaro sulle competenze e ci sono strutture e organizzazioni diverse, ma si comincia a dire che la Csr è il nuovo modo di fare innovazione in azienda». Un vero mercato del lavoro per questa figura, però, ancora non c’è, tant’è che le società di ricerca e selezione di personale raramente ricevono richieste per questi profili.
Quanto all’impatto della crisi, «una delle cause più importanti della crisi economica è stata il susseguirsi di eventi connotati da una diffusa non eticità di comportamenti e fini dell’impresa», dichiara Susanna Galli, Csr manager di Novamont, «per cui il concentrarsi ulteriormente sulle tematiche di Csr, specie nel medio-lungo termine, può diventare un elemento competitivo importante. I segnali in questo senso ci sono: c’è presa di coscienza nelle imprese, che sempre più percepiscono la Csr come elemento di strategia aziendale. La funzione Csr, però, anche se può nascere velocemente, può richiedere tempi lunghi per essere attivata in modo significativo».
Permane tuttavia la sensazione che al Csr manager non vengano attribuite particolari facoltà decisionali, o un budget da investire: una sorta di ministro senza portafoglio, che può proporre ma non decidere, o spendere. «Lo è, un ministro senza portafoglio», risponde Marisa Parmigiani, responsabile Politiche sociali di Coop. «In questa fase di forte crisi, nonostante quello che viene detto su modelli più sostenibili, si viene percepiti come un soggetto lontano dalla realtà. C’è distonia con quanto è nella concretezza, dove si fa fatica a portare avanti le attività. Per stimolare la sostenibilità nei processi caratteristici, il Csr manager dovrebbe essere invitato nella direzione aziendale».


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