Famiglia

Csr, il verbo dell’economist

Il settimanale economico più autorevole del mondo sulla responsabilità sociale d’impresa.

di Francesco Maggio

Un documento da conservare perché a lungo si dibatterà dei suoi contenuti, sui quali torneremo ampiamente anche nel prossimo numero di Vita con autorevoli opinioni e commenti. Il dossier che presentiamo è infatti la sintesi del servizio di copertina dell?Economist dedicato alla corporate social responsibility. Un servizio costruito ad hoc, appunto, per suscitare dibattito e, inevitabilmente, spingere a schierarsi (con poche possibilità di rimanere ?in mezzo?) pro o contro le modalità con cui il tema è stato messo sotto la lente.

Troppa supponenza
D?altronde, come potrebbe essere diversamente visto che già la scelta del glorioso settimanale britannico, così liberal e così ?antropologicamente? distante dal fenomeno csr, è una notizia di per sé? Ma, naturalmente, sono i contenuti che fanno discutere e che vengono affrontati con una supponenza a dir poco eccessiva e, a tratti, decisamente ingiustificata. Sin dall?editoriale che precede le cinque sezioni del dossier, che subito alza il tiro. Per esempio, affermando che «l?unica cosa che hanno in comune i sostenitori della csr è che si basano su un?analisi pericolosamente falsa del sistema capitalistico che essi vogliono salvare». Ma quando mai? Oppure, che «il tenore di vita delle persone in Occidente non è dovuto a nient?altro che all?egoistica ricerca del profitto». E a buone relazioni amichevoli, per dirne una, no?

La csr in quattro categorie
Ma procediamo con ordine. Dopo una prima sezione in cui, pur venendo riconosciuti i successi della società civile nel sensibilizzare le imprese ad essere più responsabili, si trae la conclusione che i ?vincitori? sono delusi perché le imprese continuano a voler fare profitti (e cos?altro dovrebbero voler fare?) si passa a una seconda parte decisamente più corposa ma anche più divertente. Per esempio con la identificazione della csr in quattro grandi categorie, così definite: la csr win win, che fa bene all?impresa e alla società; la csr presa a prestito che fa bene alla società ma non agli utili d?impresa; la csr perniciosa che provoca un aumento degli utili ma una riduzione del benessere pubblico; la csr delirante, ovvero del masochismo puro visto che a rimetterci sarebbero sia le aziende che la comunità.
Ciascuna definizione è spiegata con argomentazioni suggestive, che però presentano proprio il limite di essere poco suffragate da fatti. Prendiamo la csr ?presa a prestito? identificata con la filantropia. Sostiene l?Economist che i manager, effettuando donazioni in beneficenza, riducono gli utili dell?azienda e, quindi, sottraggono soldi agli azionisti che invece li hanno messi lì per fare i loro interessi. Mentre, al contrario, spetterebbe ai governi occuparsi di giuste cause. Non si dice, invece, che in molti Paesi le donazioni sono totalmente deducibili dal fisco e che lo Stato, proprio attraverso gli incentivi fiscali alle donazioni, contribuisce al miglioramento del benessere della collettività. E, in più, crea le condizioni per un ritorno reputazionale a vantaggio dell?impresa di cui questa, evidentemente, non può che ritenersi gratificata.

Tesi senza contesti
In realtà l?assenza di contestualizzazioni spaziali e temporali (indispensabili per capire i capitalismi) delle tesi sostenute è un po? il denominatore comune che unisce anche le altre tre sezioni del documento dedicate, rispettivamente al ?mondo secondo la csr?, ai nessi tra profitti e bene pubblico, all?etica del business (intesa, quest?ultima, come ordinaria decenza e giustizia distributiva). è impensabile che qualsiasi altro giornale si sarebbe potuto permettere di costruire un dossier in questo modo, con numeri quasi inesistenti e con affermazioni secche che sembrano assiomi che, quindi, non hanno bisogno di dimostrazioni. Ma il prestigio dell?Economist, con i suoi 162 anni di storia, è tale che, mutuando un noto complimento rivolto alla bocca di Marylin Monroe, «può dire ciò che vuole». E nessuno può far finta di niente, nessuno può ignorarlo.

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