Famiglia

Csi, il momento di essere presuntuosi

Ad Assisi dal 5 al 7 dicembre

di Redazione

«L’educazione dei ragazzi al gioco, ma anche alle regole, è un obiettivo che dobbiamo sentire nostro»di Massimo Achini*
Il Centro sportivo italiano sottopone alla riflessione di soci e quadri dirigenti, riuniti ad Assisi, un tema lontano da questioni tecniche e regolamentari: «Lo sport di oggi per l’Italia di domani. Il contributo del Cci alla costruzione del bene comune». Affermare che lo sport possa contribuire alla costruzione del bene comune, e così facendo possa essere fattore di civiltà per configurare l’Italia di domani, può sembrare pretestuoso, anche presuntuoso. Ma ciò dipende da quale sport abbiamo in mente. Se pensiamo allo sport dei campioni e delle tv, si può essere dubbiosi su di una sua effettiva e positiva incidenza sui fenomeni sociali. Se però ci fermiamo a riflettere sullo sport praticato in Italia ogni giorno da milioni di cittadini di ogni età, in oltre 90mila società sportive, la prospettiva cambia.
Entrando nella quotidianità della vita delle persone, questo sport incide sul loro modo di essere e così alla fine incide sul modo di essere della società. Per il Csi, associazione di ispirazione cristiana, l’orizzonte si allarga poi ulteriormente: lo sport non è fine bensì mezzo, uno strumento attraverso il quale fare opera di promozione umana e sociale. Diventa così più chiaro come il Csi si sforzi di cooperare alla costruzione del bene comune. Ma il modo in cui tale servizio si possa declinare attraverso lo sport merita qualche riflessione in più.
È soprattutto sul fronte educativo che si può esercitare l’opzione di costruire un futuro migliore per il Paese. Qualche esempio. Educare i ragazzi alla necessità delle regole dello sport e della loro osservanza è prepararli a capire ed osservare le leggi in futuro. Educarli al gioco di squadra significa predisporli ai valori della cooperazione, della solidarietà, della integrazione. Educarli alla vita comune nella società sportiva rafforzerà in loro il senso della collettività e della necessità di assumersi al suo interno alcune responsabilità.
Questi ed altri obiettivi diventano però possibili se si rispetta la precauzione di proporre un’attività sportivo-associativa realmente animata da intenzionalità educativa e da progettualità sociale. Ed è un peccato che non tutto lo sport italiano provi a seguire questa strada.


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