Anniversari

Csi, 80 anni di accoglienza dei giovani attraverso lo sport

In occasione dell'ottantennio dalla sua fondazione, ripercorriamo le tappe fondamentali del Csi, dalla nascita fino ai giorni nostri, mettendone in luce mission e valori, assieme al presidente Vittorio Bosio

di Veronica Rossi

Il Centro sportivo italiano – Csi compie 80 anni. Un anniversario importante, che stimola a fare bilanci, a ragionare sulla storia e sull’evoluzione di un’organizzazione che ha accolto al suo interno una quantità enorme di persone, anche tra coloro che hanno raggiunto altissimi livelli nello sport. Vittorio Bosio, presidente del Csi, ha ripercorso con noi alcune tappe fondamentali nello sviluppo e nella crescita di questa realtà sottolinenandone i valori e gli obiettivi principali, tra impegno costante per l’educazione dei ragazzi e accoglienza dei più giovani.

Una foto d'epoca, in bianco e nero. Una grande bandiera entra dalla destra verso il papa seduto. Sulla sinistra, un uomo inginocchiato
Sua Santità Pio XII benedice la bandiera del Centro Sportivo Italiano. Madrina Carmela Rossi, presidente centrale della
Gioventù Femminile di Azione Cattolica. Accanto al Papa, mons. Montini, futuro Papa Paolo VI. Sulla destra, con il
basco accanto all’atleta che porta la bandiera, il prof. Luigi Gedda, fondatore e primo presidente dell’Associazione.

Presidente, quali sono state le tappe fondamentali nella storia del Csi?

Il cinque gennaio del 1944 c’è stata la delibera del Consiglio nazionale dell’Azione cattolica, su proposta di Luigi Gedda, che prevedeva di creare un ente per l’organizzazione di attività sportive per le giovani generazioni. Il deposito dello statuto avvenne verso settembre, anche perché era il periodo della Seconda guerra mondiale, l’Italia fumava ancora di macerie. Pio XII, insieme alla segreteria di stato dove lavorava monsignor Montini – che poi è diventato Paolo VI – ha pensato a una riorganizzazione del mondo cattolico e in questa riorganizzazione era prevista anche la creazione del Csi. Per un po’ di anni l’associazione è stata formata esclusivamente da maschi. Un altro passo fondamentale è stato la fusione con la Fari, che si occupava delle ragazze, avvenuta nel 1972. All’inizio il Csi è stato dipendente in toto da Azione cattolica e parrocchie, perché da lì è partito tutto il movimento sportivo, anche professionistico; al’inizio, per esempio, l’organizzazione si è occupata anche di Gino Bartali. Con l’andare del tempo siamo diventati un’ente più preposto all’attività sportiva per i ragazzi; oggi, pur essendoci adattati alle esigenze della società in cui viviamo, continuiamo a fare il nostro lavoro, che è quello di proporre e promuovere lo sport come strumento di crescita e di educazione per le giovani generazioni: sono orgoglioso di dire che dei quasi un milione e mezzo di tesserati Csi c’è un 60% sotto i 16 anni.

Foto d'epoca in bianco e nero. Un grande baldacchino al centro, con molte persone. Sotto, una grande folla radunata
Pentecoste 1945 – 20 maggio, la guerra è cessata da 25 giorni. Il Csi, ai suoi albori, chiama a raccolta le forze sportive di Roma e diecimila atleti, campioni e dirigenti rispondono all’appello recandosi in Vaticano nel Cortile di San Damaso, ai piedi di Pio XII per ascoltare il Discorso che venne accolto come il “Codice morale e spirituale dello sport”.

Lavorate e avete lavorato in passato in collaborazione anche con altre istituzioni e realtà che si occupano dell’educazione dei bambini e dei ragazzi?

Si, da soli non si va da nessuna parte. Dobbiamo tenere conto che non siamo mai stati soli, perché all’inizio, naturalmente, la partnership principale era quella col mondo delle parrocchie e della Chiesa italiana, alla quale siamo rimasti fortemente legati come agenzia educativa. Abbiamo anche lavorato con enti pubblici; siamo stati fra i primi – se non i primi in assoluto – a chiedere che nella pubblica amministrazione ci fosse un assessorato allo sport, che ora si dà per scontato, ma che un tempo non c’era. Ci deve essere un comune intento, che è quello di dare ai ragazzi tutto ciò che serve per crescere nel migliore dei modi. La pubblica amministrazione ci è stata vicina anche con la creazione di nuovi impianti, che poi non sono serviti solo a noi.

Foto d'epoca in bianco e nero. Al centro il papa vestito di bianco che stringe la mano a una persona vestita con pantaloncini corti e maglietta. Attorno, altre persone
Pio XII riceve i corridori partecipanti al XXIX Giro d’Italia del 1946. Alla sua destra il presidente del Csi Luigi Gedda
e, sul fondo, l’avv. Giulio Onesti.

E una partnership importante è anche quella con la scuola.

La scuola si deve aprire all’associazionismo sportivo, perché anche lei da sola non va da nessuna parte. Però ci sono tanti esempi virtuosi oggi in Italia, magari poco conosciuti, come “Scuola in movimento” nelle Marche, che ha coinvolto una miriade di alunni delle primarie e della scuola dell’infanzia. Prima di Natale, poi, sono stato in Puglia, a visitare due istituti dove si fa sport a scuola in partnership con le nostre società sportive, ottenendo veramente ottimi risultati, a detta dei docenti e degli insegnanti. È un processo lento, ma si tratta di veicolare queste buone pratiche che vanno diffuse, in modo che ci siamo sempre più adesioni.

Tre uomini in primo piano, sulla destra il papa vestito di bianco, al centro un uomo con una medaglia al petto, sulla sinistra un altro signore
1955 – Incontro di Pio XII con il presidente del Centro Sportivo Italiano, prof. Luigi Gedda (al centro) e il presidente del
Coni avv. Giulio Onesti, in occasione delle celebrazioni per il Decennio del Csi.

Anche le famiglie sono importanti per il Csi.

Specialmente negli ultimi anni si parla spesso delle famiglie in maniera negativa. Capita, non possiamo negarlo, anche a noi di vedere i genitori sugli spalti che si comportano male o che hanno atteggiamenti che non hanno niente a che vedere con l’educazione dei figli né con lo sport. Ma va detto che la stragrande maggioranza delle famiglie tengono comportamenti molto virtuosi. Credo che il mestiere più difficile di questi tempo sia fare il genitore; gli si da addosso, ma molti di loro contribuiscono tantissimo e spesso sono coloro che si prestano a tenere in piedi le società sportive. Tutto questo, però, raramente viene messo in luce. Dobbiamo prenderne atto e provare a eliminare la negatività, tenendo quello che c’è di positivo. Oggi dobbiamo fare i conti con i social e con strumenti che dieci anni fa non conoscevamo neanche; bisogna mettersi in gioco tutti insieme e fare la stessa strada per il bene della società e delle nuove generazioni.

Un uomo in giacca e cravatta sulla destra, sullo sfondo un palazzetto con alcuni ragazzi vestiti con judoji e persone sugli spalti
Valeggio (VR),Vittorio Bosio al 17° Campionato Nazionale di Judo del Centro Sportivo Italiano,

Avete dei rapporti anche con lo sport professionistico.

Anche questo è un caso in cui viene sempre messo in luce quanto c’è di negativo. Noi facciamo con Lega serie A una manifestazione che è ormai all’undicesima edizione, che si chiama Junior Tim cup, che è calcio negli oratori con la partecipazione attiva dei club della serie A. Ho visto personalmente la sensibilità dei giocatori professionisti nei confronti dei ragazzi: guardandoli, vedono da dove sono partiti anche loro, dalla strada o dal campetto di periferia.

Ci fa una fotografia di quello che è il Csi oggi?

Partiamo dai numeri, che non sono tutto, ma qualcosa ci dicono. Oggi siamo tornati a cifre pre-covid, abbiamo superato le 12.500 società sportive affiliate, per quasi un milione e mezzo di iscritti. Facciamo una miriade di attività sportive, da quelle di squadra, come il calcio, la pallavolo o la pallacanestro, agli sport individuali. Oltre alle discipline classiche, prestiamo attenzione alle nuove tendenze, come il padel o la nuova moda che coinvolge il tennis. Va detto, infatti, che qualche volta la popolarità degli sport dipende da quello che succede “in alto”. Quando c’è un campione italiano – come ora è Jannik Sinner – che ha risultati importanti si ha un riavvicinamento alla sua disciplina. I campionati nazionali, europei, mondiali non servono solo per mettere in mostra le eccellenze ma anche per aiutare ad avvicinarsi allo sport quelli che altrimenti starebbero sempre sul divano. Gli enti come il Csi hanno il compito di dare la possibilità a tutti di partecipare a tutte le discipline. E non solo a quelli che hanno le caratteristiche per poter fare attività a un certo livello, m anche a coloro che non diventeranno mai campioni e a chi non sarà mai un bravo giocatore, nemmeno a livello amatoriale. Tutti hanno il diritto di praticare sport, perché fa crescere, dal punto di vista fisico, ma anche sociale e relazionale.

Un bimbo in primo piano, con una maglietta blu con la scritta "Csi", tiene in mano una racchetta e una pallina da badminton che tiene vicino al viso

Parliamo dei vostri valori: in questi ottant’anni sono rimasti costanti o si sono evoluti, adattandosi alla società?

I valori fondanti del Csi sono inalterati, ma forse un tempo educare era un mestiere più “facile”, a volte lo si faceva con le imposizioni. Oggi è molto più complicato: ci vuole competenza per avvicinarsi ai ragazzi, infatti uno dei nostri punti principali d’attenzione è la formazione dei dirigenti. In molti comitati provinciali e regionali facciamo un percorso formativo molto vasto e articolato, perché c’è una richiesta molto alta. Poi, ovviamente, oggi ci sono anche degli strumenti che “educano al contrario”, come i social, che se non vengono utilizzati bene rischiano di creare dei disagi enormi. C’è la necessità di esserne a conoscenza e di affrontarli. All’interno delle società sportive i ragazzi devono trovare un ambiente che li aiuti a crescere meglio.

Una bambina con un pallone da pallavolo in mano e l'altro braccio alzato come a battere la palla

E come si fa questo, nel concreto?

Facendoli sentire accolti e ben voluti, al di là di quello che rappresentano dal punto di vista sportivo. Quando si parla di accoglienza si tende a pensare solo a chi viene dai Paesi lontani, ma noi riteniamo che vada fatta in senso generale, a partire da quelli che a volte sento definire i “nostri” – anche se non si sa chi siano, tutti sono i “nostri”. Dobbiamo dare ai ragazzi un ambiente che li faccia sentire a casa, dove possano trovare un amico, un educatore e uno sfogo per tutte quelle che sono le scorie di questi tempi in cui viviamo. E questo a prescindere che una persona riesca a fare quattro allenamenti a settimana o uno o soltanto la partita. Noi abbiamo l’attenzione di fare l’appello, capire chi manca e qualche volta andare a suonare il campanello per vedere perché una persona è assente. Questo non perché vogliamo crescere dei campioni, ma perché abbiamo a cuore il ragazzo.

Una ragazza con la coda, con una maglietta bianca su cui c'è scritto "Csi" e "arbitro". Fa un cuoricino con le mani.

Come ha influito la pandemia sul Csi? Avete cambiato le vostre attività o avete raggiunto delle consapevolezze?

Abbiamo scoperto quanto fosse importante l’attività sportiva. Questo magari non era così evidente prima, ma durante la pandemia abbiamo ricevuto migliaia di richieste di persone e famiglie che ci chiedevano di poter tornare in campo o in palestra. Poi durante l’epidemia abbiamo anche imparato a utilizzare gli strumenti per comunicare a distanza, così abbiamo continuato a formarci e a interrogarci su quello che sarebbe servito dopo. Ci siamo detti più di una volta che dovevamo riportare i ragazzi sulle piste, nelle palestre, nelle piscine; non è stato così facile, perché bisognava superare delle paure importanti e anche l’idea che stare a casa sul divano a volte è più comodo che andare a far fatica nei campi. Siamo andati incontro alle esigenze, magari, come dicevo, andando a suonare il campanello per capire perché una persona non partecipata alla vita della società sportiva. Va detto che sul territorio abbiamo una grande quantità di dirigenti sportivi generosi, che dedicano sé stessi e il loro tempo agli altri e che possono diventare un riferimento per le nuove generazioni.

Tutte le foto nell’articolo sono state fornite dal Csi

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