Il voto svizzero sui minareti resterà uno spartiacque simbolico nella storia dei rapporti fra il Vecchio continente e l’Islam. Nell’Europa uscita dal lungo tunnel dei totalitarismi sembrava impensabile, fino a ieri, anche solo mettere ai voti un divieto “costituzionale” alla libera espressione di una minoranza religiosa. Ora abbiamo constatato che è stato possibile passare questo limite. E passarlo a furor di popolo. Ho seguito l’evento da Lugano, per il mio telegiornale. Il Ticino è il cantone dove i proibizionisti hanno ottenuto il maggior numero di consensi, il 69%. Ho parlato con il vescovo cattolico, “don Minareto” come lo chiamava beffardo il capo della Lega dei ticinesi, Giuliano Bignasca. Ho interpellato i leader islamici, i colleghi delle testate locali. Tutti, pur da opposti punti di vista, concordavano su una cosa: i minareti erano un pretesto. Ce ne sono solo 4 in tutto il territorio svizzero, ornamentali, nessuno utilizzato dal muezzin. Negli altri 160 luoghi di culto, salvo rare eccezioni, le comunità islamiche non ne hanno fatto richiesta. «Non è una nostra priorità», ci ha assicurato Gasmi Slaheddine, il presidente della Lega musulmana del Ticino.
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