Cultura

Cronache italiane: dagli allo zingaro!

Giancarlo Perna, da fustigatore dei potenti a censore dei vizi dei poveri. Su Panorama, due paginette d'odio verso i Rom

di Giampaolo Cerri

Un tempo castigava i potenti: prima e seconda Repubblica, jet-set, alta finanza. Giancarlo Perna, una delle penne più cattive d’Italia, era lo spauracchio dei personaggi più celebrati dalle cronache. Le sue biografie al vetriolo richiedevano dosi massicce di Malox, l’antidolorifico che Massimo D’Alema ha confessato di usare dopo la lettura dei giornali. Memorabile quella di Eugenio Scalfari, ovviamente non autorizzata.
Più recentemente, complice forse il contenzioso civile e penale che le sue incursioni generavano, Perna si era dedicato a cantare i potenti.
Sul Giornale, il direttore Belpietro l’aveva messo a omaggiare i big del nuovo corso berlusconiano. Memorabile in questo senso, un’intervista al titolare delle Infrastrutture, Pietro Lunardi.
Ora però, il corrosivo Perna innaugura un nuovo corso, che è poi vecchio come il mondo: la caccia al poverocristo.
Su Panorama in edicola, l’inviato Perna firma un’accorata denuncia sui Rom della Rustica, sobborgo della capitale. Ultima fermata, Rom, titola il settimanale di Carlo Rossella. Vi si racconta dei metodi poco urbani dei nomadi che prendono il treno fino alla stazione Tiburtina e che hanno provocato una protesta dei pendolari della tratta, nei giorni scorsi.
Ha i toni dell’orazione civile, la denuncia di Perna: «I rom spingono, si appoggiano sui viaggiatori, siedono sulle loro ginocchia, finché quelli non gli cedono il posto. Gridano, si chiamano, mangiano. All’arrivo, gli impiegati saltano giù col naso tappato».
Segue poi una descrizione trucida del campo nomadi, roba da far illividire il più scafato cronista di guerra: «I ragazzi giocano a testa coda con le auto rubate. Poi la ammassano e gli danno fuoco. Appena le fiamme raggiungono il serbatoio, le macchine saltano. Il bum si stente a chilometri».
Che non siamo a Grozny, ce lo assicura l’autore stesso, un attimo dopo: «Mentre le lamiere bruciano, auto di grossa cilindrata fanno il loro ingresso, sempre guidate da ragazzetti. Il Comune manda i suoi camion a prendere le carcasse. Lo sgombero a domicilio consente la ripresa dei roghi». Insomma una roulette fra le roulotte.
E poi si ricomincia: i Rom rubano, minacciano, addirittura non pagano il biglietto.
Intendiamoci, non ci illudiamo che le cose vadano molto meglio di quel che Perna racconta. I poveri sono rararemente belli, a dispetto della cinematografia anni 50. Sorprende però questo filo rosso, neppure tanto sottile, che percorre l’articolo dall’inizio alla fine: il disprezzo. Gratuito, epidermico, viscerale. Forse a Perna gli viene bene. Forse è un dono di natura. Fintanto però che lo rigurgitava contro il potere, era un conto. Vederlo indirizzato contro i poveracci fa davvero tristezza: i potenti che fanno volare gli stracci, sai che novità. “Dagli allo zingaro”, poi è un classico, attraversa i secoli, da quando cioè questo popolo misterioso comparve in Italia fra ‘400 e ‘500, arrivando probabilmente dall’India.
Invece è più inquietante il gloria in cui finisce il salmo di Perna: l’esaltazione di un poliziotto che si prende la libertà di tagliare i capelli a una ragazzine del campo accusata, di «imbrattare con l’estintore» (cioè?, ndr).
L’abuso, la violenza privata, che scivolano via così, senza l’ombra di un dubbio, trattati come se fossero un’ovvia misura di contenimento di una specie animale, qualcosa che ha a che fare più con i regolamenti di igiene che con il Codice.
Brutto, bruttissimo, Perna.
Certo che rompere gli zebedei ai potenti era più faticoso. Meglio massacrare questa sottospecie umana.
E poi – come è accaduto nell’articolo – non c’è neppure l’obbligo deontologico di farli parlare.

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