Mondo

Cronaca tragicomica di un’intervista a Battisti/3

di Paolo Manzo

Taxi, hotel, telefono. In 20 minuti mi precipito per le strade tutte uguali di Brasilia e, occupata la prima stanza libera del NaoumExpress chiamo il senatore per sapere se già stasera potremo entrare a Papuda. “No, per adesso no. Ma domattina alle 9 chiami Rosa, la mia segretaria e si tenga pronto”. Click. La sera del 27 gennaio dormo come un bambino. E sogno di fare una lunga intervista a Cesare sugli anni di piombo, sull’esilio francese, sul Messico, sugli amici di Carmilla e il ricordo delle vittime dei PAC. “Che vorresti dire a Torregiani? E al giudice Spataro? Com’è nata l’idea del Brasile?”. Ronf, ronf. Drinnnnnnn! Sono le 7 del mattino e l’ottimo Omero Ciao, si sa, all’alba è tonico come il pelide Achille durante l’assedio di Troia. Avere colleghi-amici competenti è una delizia, averceli che si svegliano alle 6 del mattino per fare i collegamenti per RadioCapital e poi, causa sinapsi iperattive ci tengono a riabbracciarti mentre tu sei abbracciato a Morfeo è una iattura. “Allora delinquente, ci vediamo da Suplicy tra poco…”. “Delinquente tu, ma l’hai vista l’ora?!?”.
Per entrare al Senato brasiliano basta un passaporto valido e qualcuno che ti voglia ricevere. Il mio l’ho appena rinnovato e Suplicy non vede l’ora di portarci a Papuda. Il mio ingresso in Senato data ore 9.05 del 28/01/2009 con tra i denti ancora un mezzo pao de queixo che avevo trangugiato dopo una chiamata dell’irrefrenabile Suplicy mentre nella hall del mio albergo stavo seraficamente facendo colazione. “Venga che possiamo partire in qualsiasi momento per Papuda, stiamo solo aspettando l’ok del Procuratore Generale ma è una pura formalità, ho parlato già con Peluso”. “Agli ordini Senatore”.
Morale della favola. La mia prima giornata a Brasilia, nel retro dell’ufficio di Suplicy, la passo a sfumazzare assieme ad Omero e a chiacchierare amabilmente con Fred Vargas, donna minuta, sublime giallista e instancabile difensore di Cesare, con la sorella di lei e con Battist che, ca va sans dire, è il nome che Fred ha dato al figlio.
“Pensa che una volta”, mi racconta dopo aver capito che di me ci si può fidare, “quando mio figlio era più piccolo ed era uscito non ricordo più con chi, preoccupata dal suo ritardo nel rincasare chiamo casa di amici e chiedo loro se Battist era là. Questi, pensano mi riferisca a Cesare, il cui caso seguivo già da mesi, e mi trattarono malissimo, mi chiesero se ero definitivamente impazzita …” (continua)

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