Mondo

Croce spericolata

In un anno, i 400 medici della Cri hanno curato 55mila iracheni. E Ginevra ha riabilitato la missione italiana.

di Carlotta Jesi

“In Iraq siamo presenti con 3mila uomini e con la Croce Rossa”. Con i suoi volontari o col suo corpo militare? Con il commissario straordinario Maurizio Scelli che lavora per la liberazione dei tre ostaggi italiani o coi suoi uomini che effettuano 150 prestazioni sanitarie e gratuite al giorno? Cosa intende il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi quando parla della Croce Rossa italiana?
Difficile dirlo. L?unica cosa certa è che il suo intervento del 3 maggio rilancia un interrogativo che pesa sull?azione della Croce Rossa nostrana fin dal suo ingresso in Iraq, scortata dai carabinieri, il 9 maggio 2003: missione umanitaria o anche un po? politica?

Una scorta pericolosa
“Equivoca e pericolosa”, la definiva un anno fa il Comitato internazionale della Croce Rossa, leading agency per l?emergenza irachena, preoccupata che la decisione di farsi scortare dai carabinieri a Bagdad per costruire un ospedale da campo avrebbe compromesso 23 anni di azione umanitaria dei rossocrociati in Iraq, portata avanti grazie alla neutralità da qualsiasi regime e da qualsiasi esercito.
Oggi, al posto di quell?ospedale da campo che aveva suscitato polemiche perché allestito nella zona della città con il più alto tasso di strutture sanitarie, c?è il Medical City di Bagdad: l?ex Saddam Hospital rimesso a nuovo dagli italiani dove ogni giorno si presentano almeno venti persone con ustioni gravissime che a volte coprono oltre il 60% della superficie corporea. E con la scorta dei carabinieri sono sparite anche le perplessità del Comitato internazionale. “Dallo scorso ottobre i medici e i paramedici italiani a Bagdad sono stati incorporati nei servizi sanitari iracheni”, dichiara da Ginevra Antonella Notari, “con un ottimo impatto umanitario”.
Impatto che, nella sede romana della Cri, misurano così: 55.911 pazienti assistiti e oltre 84 portati in Italia per cure specialistiche, a fronte di un centinaio di decessi. Numeri cui vanno aggiunti i medicinali e i generi di prima necessità che la Croce Rossa italiana è riuscita a portare, insieme alla Mezzaluna Rossa, nella Falluja assediata dagli Usa e quasi 8mila litri di acqua potabile imbustata al giorno, per un totale di 1 milione di litri dall?inizio della missione.
Fine dei dubbi sull?organizzazione di Maurizio Scelli che rimane l?unica Croce Rossa del mondo a essere un ente pubblico e una delle poche a dipendere quasi interamente dai finanziamenti governativi (per la missione in Iraq finora ha ricevuto 14 milioni di euro)?

Commissario in prima linea
Nino Sergi, di Intersos, è convinto di no: “A Nassiriya, il personale della Cri continua a girare su mezzi militari. E non dobbiamo dimenticare che nessun?altra Croce ha un corpo militare. Poi c?è Scelli: il 24 marzo ha dichiarato al Corriere della Sera che i suoi uomini sono i soli sul campo mentre le ong alloggiano nei grandi alberghi di Amman. Dovrebbe guardare oltre il suo ombelico: finiti i bombardamenti, a Bagdad c?erano solo le ong”.
Scelli, già. Da quando l?avvocato civilista, che ha rinunciato allo stipendio previsto per il numero uno della Croce Rossa italiana, è arrivato a Bagdad, il 14 aprile scorso, non c?è giorno che la sua organizzazione non finisca sui giornali. Con una strategia di comunicazione, questa sì, molto diversa dalla casa madre di Ginevra, che preferisce il low profile. “Il Comitato internazionale continua a operare in Iraq in modo regolare anche se non permanente. Anche noi siamo andati a Falluja”, svela la Notari, “però abbiamo deciso di non comunicarlo. Per ragioni di sicurezza”.
E il pericolo che l?eccessiva esposizione mediatica trasformi una missione umanitaria in politica? Alberto Piatti, amministratore delegato dell?Avsi, è convinto che non sussista: “Finora Scelli ha sempre tenuto ben distinti i piani, rifiutando il coinvolgimento in vicende politiche. Sta in prima linea con i suoi uomini”.
Uomini e donne, sarebbe meglio dire, perché fra i 472 medici e paramedici della Cri che si sono dati il cambio in Iraq ci sono anche dottoresse e infermiere. Alcune precettate, altre partite come volontarie. Età media tra i 25 e i 40 anni e forte vocazione umanitaria.

Ente governativo e holding?
Una vocazione che è l?aspetto più limpido di questa organizzazione che, giuridicamente, è un pasticcio. O meglio: un ente di diritto pubblico – per la legge n. 70 del 1975 e per il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 110 del 7 marzo 1997 – nonostante un decreto del Presidente della Repubblica del 31 luglio 1980 dicesse che doveva essere “un ente privato di interesse pubblico”. Ente che oggi risulta commissariato da oltre vent?anni. Il motivo? Per la legge n. 883 del 23 dicembre 1978, tutte le strutture della Cri non connesse alle sue originali finalità – dai centri di educazione motoria alle ambulanze – avrebbero dovuto passare allo Stato. Avrebbero, perché così non è stato. Col risultato che, come rileva l?indagine conoscitiva sullo stato della Croce Rossa condotta dalla commissione Sanità del Senato tra il 2001 e il 2002, la Cri “ha assunto la veste di una holding finanziaria che non si connota più come un corpo basato sul volontariato”. Vita denunciava questo pasticcio giuridico nel suo primo numero, uscito il 27 ottobre 1994. Ma nulla è cambiato.

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