Cultura

Croce Rossa Italiana: “Ecco perché il reality Mission non ci convince”

Francesco Rocca, Presidente dell’Associazione , esprime le sue perplessità riguardo a un programma che, in prima serata su Raiuno, potrebbe fornire agli spettatori un messaggio distorto sulle operazioni umanitarie

di Francesco Mattana

Alla fine, sempre lì si va a parare: il concetto di servizio pubblico, cos'è e come declinarlo nella maniera migliore?

Si discute animatamente da alcuni mesi del reality Mission, che andrà in onda sulla rete ammiraglia il 4 e l’11 dicembre. E se ne parla proprio perché la televisione di stato è un terreno molto delicato, dentro il cui perimetro bisognerebbe cercare di mantenere uno standard etico elevato.  L’obiettivo di questo docu-show, che terrà compagnia gli italiani sotto Natale, è il seguente:  coinvolgere nomi noti dello spettacolo –tra gli altri Albano, Barbara De Rossi, Michele Cucuzza– nelle operazioni umanitarie tra i campi profughi del Sud Sudan, Congo e Mali. Il tutto, sotto il patrocinio di UNHCR (Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) e dell’Ong italiana Intersos. In un comunicato congiunto  Bekele Geleta, Segretario Generale FICR (Federazione Internazionale Croce Rossa), e Francesco Rocca, Presidente Nazionale CRI (Croce Rossa Italiana) hanno espresso la loro preoccupazione per un format che ha tutta l’aria di spettacolarizzare eventi luttuosi, e che non pone nella giusta luce il lavoro serissimo degli operatori umanitari.

Sottolinea Rocca: «Ciò che preoccupa è un modello culturale, l’approccio che i media coltivano verso temi che richiederebbero ben altra attenzione». Un format, dunque, positivo di per sé, ma che andrebbe riveduto e corretto. «Mi viene in mente ad esempio la dolcezza, la delicatezza di “C’era una volta, programma andato in onda su Raitre (e penalizzato da una programmazione non adeguata, in orari poco accessibili). Certamente non ci convince lo stile di un reportage andato in onda su Sky qualche tempo fa: una sorta di thriller per raccontare il dramma dei migranti tra Messico e Stati Uniti. Auguriamoci che Mission prenda un’altra piega. Abbiamo voluto lanciare un sasso nello stagno: dalle poche informazioni trapelate, ci è parso che vogliano imbastire un prodotto a nostro avviso pericoloso, che non fa del bene a una causa nobile».

Ma in che senso Mission potrebbe delegittimare il lavoro degli operatori umanitari? «Non bisogna mai dimenticare che nei campi profughi lavorano personalità altamente professionalizzate, non c’è alcuna improvvisazione o estemporaneità nel loro operato. Ecco, il sospetto –più che fondato- è che i vip desiderino mettersi in vetrina. E poiché hanno un grosso seguito presso il pubblico, la gente comune potrebbe pensare che tutti possono fare quel mestiere senza grande sforzo».

Però, fino a prova contraria, i vip potrebbero coltivare dentro di sé una sensibilità particolare per il sociale, che magari non hanno avuto finora l’opportunità di esternare. «Difatti nessuno contesta che alcuni di loro, magari tutti, siano mossi dalla buona fede. Resta il fatto che, sulla base delle notizie emerse finora, questo programma non è la cornice adatta per dare il buon esempio dall’alto».

Le titubanze nei confronti di un programma -di cui ancora si sa poco, ma che non promette bene- si estendono anche ai grandi show di beneficienza, ospitati periodicamente anche in Rai? «Bisogna separare nettamente i due piani. Un conto è un reality che tocca temi importanti con eccessiva disinvoltura, un conto è il fund raising attraverso i programmi TV, che permette a tutte le associazioni –Croce Rossa compresa- di continuare a sopravvivere, portando avanti sempre nuovi progetti per chi sta male».  

Nella giornata è da registrare anche una nota di INTERSOS a firma del Presidente Nino Sergi, inviata alla Croce Rossa italiana (CRI) e alla Federazione delle Società di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa (FICR) in cui si legge:  “Mission non è un reality show. L’organizzazione non avrebbe mai accettato di collaborarvi, opponendosi alla sua realizzazione”. Si legge ancora nella nota:  “Mission vuole essere un tentativo innovativo di programma sociale per portare anche in prima serata e al vasto pubblico il tema dei rifugiati, facendolo con la massima attenzione e il massimo rispetto per le persone, la loro sofferenza e la loro dignità, rendendole protagoniste nel raccontarsi. Si toccheranno quattro crisi umanitarie, in paesi africani, mediorientali e latinoamericani, mettendo al centro le persone con le loro storie vissute e il loro personale punto di vista e mostrando il lavoro degli operatori umanitari”. 

Ma forse non ha già fatto molto di più Papa Francesco con le sue due visite a Pantelleria e al Centro Astalli? Mah?

 


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