Salute

Cristina P.: «Così sono diventata mamma anche con l’HIV»

Cristina P. stava completando il dottorato e non aveva nemmeno 30 anni quando ha ricevuto la diagnosi di HIV. Oggi che è riuscita a diventare mamma naturalmente, grazie al supporto degli specialisti dell’ospedale Sacco di Milano, dice: «C’è ancora da fare, ma i progressi degli ultimi anni sono impressionanti… Io e la mia bambina siamo un esempio di come sia possibile riscrivere le storie, cambiare i finali, ridefinire gli orizzonti»

di Sabina Pignataro

L’avvento delle terapie antiretrovirali (nel 1996) ha determinato la riduzione della mortalità per AIDS, restituendo alle persone con Hiv un’aspettativa di vita paragonabile a quella della popolazione generale. L’infezione da Hiv, opportunamente trattata, è oggi considerata un’infezione cronica che lascia spazio a progetti di vita personali, lavorativi e familiari, compreso quello di diventare genitori. Ed è quello che è successo a Cristina P., una donna di Milano, che stava completando il dottorato e non aveva nemmeno 30 anni quando ha ricevuto la diagnosi di HIV.

«Dopo la diagnosi tutto quello che avevo costruito sembrava perdersi: la rete di amici, la casa, il dottorato… era tutto difficile». Così Cristina ha ricordato quei momenti molto bui della sua vita. Lo ha fatto usando parole molto delicate, e allo stesso tempo molto forti, in occasione della premiazione dei progetti Gilead qualche settimana fa. «Fortunatamente, nonostante i momenti di grande fragilità, la diagnosi di HIV non ha fermato la mia vita, anzi».

Cristina P. ha avuto due grandi relazioni affettive di cui una con il papà della sua bambina. «Abbiamo avuto sempre rapporti protetti, finché, grazie alle innovazioni terapeutiche, siamo riusciti ad immaginare e progettare la nostra vita con un figlio come una qualsiasi coppia. Ho avuto una gravidanza meravigliosa, felice, florida, e una bambina sana». Nella prima parte della gravidanza Cristina ha fatto parte del progetto della professoressa Vania Giacomet, responsabile della US di Infettivologia Pediatrica, all'Ospedale Sacco, Università di Milano, e responsabile del progetto di valutazione della qualità della vita della sessualità e della maternità in giovani donne (15-30 anni) con infezione da HIV (progetto premiato dal Fellowship Program Gilead nel 2018).

Le terapie oggi disponibili non sono ancora in grado di eliminare l’Hiv dall’organismo ma ne riducono la quantità a un livello molto basso, permettendo di prevenire i danni che il virus rischia di causare e riducendo in modo significativo il rischio di trasmissione. La ricerca scientifica ha dimostrato che una persona con Hiv, che segue regolarmente la terapia e ha una carica virale stabilmente non rilevabile, non trasmette il virus per via sessuale. In queste condizioni una persona con Hiv può dunque concepire in modo naturale senza correre alcun rischio di trasmettere l’infezione al proprio partner o alla propria partner. Esistono inoltre numerosi farmaci antiretrovirali che possono essere assunti durante la gravidanza senza alcun rischio per il feto.

«Devo dire che per me quello è stato un periodo pazzesco, faccio fatica anche a ricordare con lucidità: ero drogata dalla felicità. Non ho mai avuto paura, se non le paure e i dubbi di una donna qualunque: “sarò capace di essere una mamma, saprò amare mia figlia?»

Non ho mai avuto paura, se non le paure e i dubbi di una donna qualunque: “sarò capace di essere una mamma, saprò amare mia figlia?

Cristina P.

In generale, conclude, «ci vorrebbe più sostegno alle donne con HIV che affrontano una gravidanza. È un percorso di per sé emotivamente molto impattante che dovrebbe essere sostenuto da un team multidisciplinare attento ai vari aspetti e a tutte le possibili implicazioni – anche psicologiche – che il pregiudizio porta con sé. Oggi c’è ancora da fare, ma i progressi degli ultimi anni sono impressionanti… Io e la mia bambina siamo un esempio di come sia possibile riscrivere le storie, cambiare i finali, ridefinire gli orizzonti».

In apertura, illustrazione di Elisa Macellari

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