Medio Oriente
Crisi umanitaria a Gaza, il Consiglio europeo e quella paura di nominare Israele
A Gaza e in Cisgiordania è in corso, sotto ai nostri occhi, la più imponente operazione di pulizia etnica della storia moderna. Il Consiglio europeo deplora la rottura del cessate il fuoco. Ma chi ha causato un gran numero di vittime civili nei recenti attacchi aerei? Chi impedisce l'accesso dell'assistenza umanitaria su larga scala? La risposta è, ovviamente, scontata ma nessuno vuole pronunciare il nome come se chiamare esplicitamente in causa Israele fosse un peccato capitale o un tabù inviolabile

Non so quanti prestino attenzione alle conclusioni dei vertici europei. Nel documento finale di ogni summit si annunciano le decisioni prese e si definiscono le posizioni dei 27 capi di Governo sui principali temi di politica estera. Si tratta di atti ufficiali, spesso lunghi e ridondanti, frutto di compromessi raggiunti all’ultimo istante che, in quanto tali, risultano di difficile comprensione nella ricerca spasmodica di formulazioni che possano accontentare tutti.
Fra le tante pagine inutili il paragrafo sulla crisi di Gaza incluso nel documento finale del Consiglio europeo di giovedì scorso ha superato, forse, ogni limite di decenza per quanto riguarda ipocrisia, banalità e deliberata omissione. “Il Consiglio europeo deplora la rottura del cessate il fuoco a Gaza, che ha causato un gran numero di vittime civili nei recenti attacchi aerei. Deplora il rifiuto di Hamas di consegnare gli ostaggi rimasti. Il Consiglio europeo chiede che si ritorni immediatamente alla piena attuazione dell’accordo di cessate il fuoco e di liberazione degli ostaggi. Sottolinea la necessità di progredire verso la sua seconda fase, in vista di una piena attuazione che porti al rilascio di tutti gli ostaggi e alla fine definitiva delle ostilità. Il Consiglio europeo ricorda l’importanza di un accesso senza ostacoli e di una distribuzione sostenuta dell’assistenza umanitaria su larga scala a Gaza e in tutta la regione. Tale accesso e distribuzione, così come la fornitura di elettricità a Gaza, anche per gli impianti di desalinizzazione dell’acqua, devono essere ripresi immediatamente”, recita il testo.
Che i 27 Paesi Membri siano divisi sul conflitto medio-orientale è un dato di fatto; che si arrivi, però, a ignorare, rifiutandosi addirittura di menzionare, a chi sono rivolte le richieste europee è semplicemente vergognoso e indegno di un qualsiasi pronunciamento diplomatico. Chi ha causato un gran numero di vittime civili nei recenti attacchi aerei (Nb quasi 800)? Chi non attua pienamente il cessate il fuoco e non progredisce verso la seconda fase? Chi impedisce l’accesso dell’assistenza umanitaria su larga scala a Gaza e ha interrotto la fornitura di elettricità? La risposta è, ovviamente, scontata ma nessuno vuole pronunciare il nome come se chiamare esplicitamente in causa Israele fosse un peccato capitale o un tabù inviolabile. Noi europei ci portiamo addosso il complesso di una colpa inestinguibile nei confronti del popolo ebraico. Chiudere gli occhi di fronte a quello che succede a Gaza e in Cisgiordania, tuttavia, non alleggerisce la nostra posizione ma, al contrario, la aggrava perché due torti non fanno una ragione. Adottare testi come il paragrafo succitato ci copre solo di ridicolo auto-condannandoci all’irrilevanza.
L’azione diplomatica dell’Ue nella regione è stata nulla o quasi. Nella sua pochezza, però, ha avuto un merito. Pur evitando di criticare apertamente il Governo israeliano ha sempre sostenuto le iniziative della Lega Araba, di cui l’Autorità Nazionale Palestinese è membro, supportandone le proposte vedi, ultimamente, il piano proposto dall’Egitto per la ricostruzione della striscia in alternativa a quello folle di Trump. A Gaza e in Cisgiordania è in corso, sotto ai nostri occhi, la più imponente operazione di pulizia etnica della storia moderna. Israele si sta preparando a rioccupare permanentemente parti della striscia mentre l’Egitto, di fronte alla minaccia di ritorsioni americane, annuncia la disponibilità ad accogliere 500mila gazawi. L’ultimo rapporto dell’Alto Commissario per i Diritti Umani delle Nazioni Unite parla di un significativo consolidamento ed espansione degli insediamenti israeliani nella Cisgiordania occupata mentre il Governo israeliano ha continuato a trasferire la propria popolazione nel territorio e a demolire le case palestinesi. Inoltre, il rapporto descrive “un clima di vendetta” in tutta la Cisgiordania, dove le forze di sicurezza israeliane e i coloni hanno ucciso un totale di 612 palestinesi durante il periodo di riferimento. A Riad, intanto, mentre si svolgono i negoziati sul conflitto ucraino, prosegue il corteggiamento americano nei confronti di Mohammed Bin Salman per indurre l’Arabia Saudita a scaricare definitivamente i palestinesi. Peraltro c’è un filo logico che lega i due conflitti. Una pace giusta per l’Ucraina, in linea con il diritto internazionale, significa una speranza di pace giusta anche per il conflitto israelo-palestinese. Ammesso che a qualcuno interessi ancora l’esistenza di un popolo palestinese.
Gaza City, AP Photo/Jehad Alshrafi/LaPresse
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