Mondo

Crisi R.D.Congo: pressioni internazionali sul Ruanda

Mentre si aggrava la crisi nel Kivu, Kigali promette di non spedire le sue truppe nell'est della Repubblica democratica del Congo

di Joshua Massarenti

Dopo gli ultimi combattimenti nell’est della Repubblica democratica del Congo, si fanno sempre più intense le pressioni internazionali nei confronti del Ruanda, perchè ponga fine alle sue minacce contro Kinshasa. Così si è espresso, con una risoluzione, il Consiglio di sicurezza dell’Onu. Stati Uniti e Gran Bretagna (tradizionalmente molto vicini al Rwanda), hanno chiesto a Kagame di abbassare il tiro. A sua volta, la Svezia ha deciso di sospendere i suoi aiuti al Rwanda. Questa mattina c’è stata una dichiarazione d’intenti da parte del Ministro degli affari esteri rwandese Charles Muringande. “Non minacceremo più di andare in Rdc” ha detto da Nairobi (Kenya) il ministro, riguardo gli scontri scoppiati nelle ultime settimane in territorio congolese, lungo la frontiera con il Rwanda, e in cui il Rwanda era stato accusato da Kinshasa di aver tenuto fede alle sue minacce mandando nel Kivu (est della Rdc) militari rwandesi. “La Comunità internazionale ci ha promesso che affronterà di petto il problema degli ex Far (Forze armate rwandesi, ndr) e degli interahamwe (milizie giovanili)” ha detto il ministro degli affari esteri riferendosi a questi ex gruppi militari e paramilitari hutu, responsabili del genocidio che nel 1994 uccise oltre 800mila esseri umani, in stragrande maggioranza tutsi. Già nel 1996, e successivamente tra il 1998 e il 2002, Kigali aveva mandato truppe in suolo congolese per andare a caccia dei genocidari, rifugiatasi in Rdc all’indomani del genocidio. Sebbene questa strategia politico-militare poteva giustificarsi con l’incapacità da parte della Comunità internazionale di arrestare le persone sospette di aver diretto o partecipato al genocidio, tra gli specialisti della regione dei Grandi Laghi africani si è fatta sempre più larga l’ipotesi che la caccia ai genocidari è finito per essere un pretesto dietro il quale Kigali nascondeva ambizioni geostrategiche sulla parte orientale della Rdc, ricchissima in risorse minerarie. Nel 2003, il presidente congolese Joseph Kabila e il suo omologo rwandese Paul Kagame avevano firmato un accordo di pace nel quale Kigali promotteva di ritirare le sue truppe dal Congo, mentre Kinshasa si impegnava a arrestare i genocidari. Nell’ultimo anno e mezzo, Kigali ha più volte storciato il naso nei confronti delle autorità congolesi facendo notare alla Comunità internazionale del mancato impegno preso da Kinshasa nel rispettare gli accordi del 2003. Dalle lamentele alle accuse il passo è brevce. Così, il 15 novembre scorso, in una lettera indirizzata al presidente nigeriano Obasanjo, presidente di turno dell’Unione africana (Ua), Kagame ha minacciato di “mandare truppe rwandesi” in Rdc “per un tempo limitato” e con l’unico scopo di porre alla minaccia che rappresenta per il Rwanda la presenza di genocidari lungo la frontiera rwando-congolese. Secondo vari osservatori, Kigali avrebbe reso effettiva la sua minaccia. Sabato scorso, la Monuc (Missione delle Nazioni Unite in Rdc)si è detta “convinta che truppe straniere” erano penetrate in territorio congolese. Una convinzione nuovamente respinta oggi da Murigande, secondo il quale “mai il Rwanda ha spedito suoi soldati in Rdc”. Fatto sta che la decisione presa dalle autorità rwandesi segue le polemiche suscitate dalle sue minacce in seno alla Comunità internazionale e soprattutto ai morti che si sono contati la scorsa settimana a Karabayonga, nel Nord Kivu.


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