Mondo

CRISI. Il ruolo dei servizi pubblici locali

Una ricerca del Censis presentata stamani

di Maurizio Regosa

Anche i servizi pubblici locali possono dare un contributo per contenere le conseguenze della crisi. Il Censis e Confservizi hanno condotto una ricerca per comprendere quali siano le aspettative di imprese, famiglie e istituzioni. Nella percezione comune le pubblic utilities hanno accresciuto la capacità di investimento finanziario e tecnico, e sono più orientati verso il cliente e la progettazione e verifica della qualità dei servizi erogati. Si registra però una certa distanza fra le grandi imprese di servizi pubblici (concentrate sull’acquisizione di livelli crescenti di efficienza), e le aziende di dimensioni inferiori, (più identificate con il territorio e concentrate sulla valorizzazione dell’impatto sociale delle loro attività). Ma qual è la dimensione ottimale rispetto al dilemma tra «solo piccolo è bello» e «solo grande è efficiente»?

Per i sindaci dei piccoli comuni (con meno di 5.000 abitanti), la «best size» è la piccola dimensione, con aziende a forte radicamento territoriale. Per i sindaci delle città medio-grandi, per sostenere l’economia del territorio le aziende devono invece essere grandi e orientate a una chiara gestione manageriale (opinione del 57,3% dei sindaci nella media nazionale).

La variabile territoriale rivela un Paese spaccato a metà, con un Sud che vorrebbe ancora mantenere la coincidenza fra proprietà e gestione dei servizi pubblici, per assicurare il mantenimento del consenso, e un Nord che spinge verso modelli di impresa di tipo manageriale, perché è sempre più forte la consapevolezza del ruolo giocato dai servizi pubblici per accrescere la competitività dei territori.

Quanto alle imprese, in gran maggioranza, anche quelle di piccole e medie dimensioni, chiedono un’offerta che corrisponda alle caratteristiche produttive del territorio (81,1%), perché esiste un legame molto significativo fra qualità dei servizi, efficienza interna delle imprese e competitività sul mercato. Il tessuto produttivo esprime anche una forte domanda di aziendalizzazione delle public utilities, poiché questa conferirebbe maggiore efficienza ai servizi e ai sistemi locali.

Le famiglie, per parte loro, sono portatrici di una cultura «tariffa-centrica»: per il 51,9% l’economicità delle tariffe è l’elemento decisivo nella scelta dell’operatore, e il 55,7% apprezza l’apertura alla concorrenza nella convinzione che porterà a un miglioramento della qualità dei servizi a prezzi più bassi. Le famiglie che hanno cambiato gestore dei servizi elettrici e del gas lo hanno fatto nell’83,3% dei casi per pagare di meno.

Anche la soddisfazione per i servizi si presenta piuttosto differenziata. Per il 56,3% delle imprese la qualità è inferiore alle aspettative, valore che scende al 48% tra le famiglie. Queste ultime cominciano ad affidarsi alle associazioni dei consumatori (il 10% sul piano nazionale) e affermano in gran parte (il 56,2%) di conoscere lo strumento della «carta dei servizi».

Anche i servizi pubblici locali possono dare un contributo per contenere le conseguenze della crisi. Il Censis e Confservizi hanno condotto una ricerca per comprendere quali siano le aspettative di imprese, famiglie e istituzioni. Nella percezione comune le pubblic utilities hanno accresciuto la capacità di investimento finanziario e tecnico, e sono più orientati verso il cliente e la progettazione e verifica della qualità dei servizi erogati. Si registra però una certa distanza fra le grandi imprese di servizi pubblici (concentrate sull’acquisizione di livelli crescenti di efficienza), e le aziende di dimensioni inferiori, (più identificate con il territorio e concentrate sulla valorizzazione dell’impatto sociale delle loro attività). Ma qual è la dimensione ottimale rispetto al dilemma tra «solo piccolo è bello» e «solo grande è efficiente»?

Per i sindaci dei piccoli comuni (con meno di 5.000 abitanti), la «best size» è la piccola dimensione, con aziende a forte radicamento territoriale. Per i sindaci delle città medio-grandi, per sostenere l’economia del territorio le aziende devono invece essere grandi e orientate a una chiara gestione manageriale (opinione del 57,3% dei sindaci nella media nazionale).

La variabile territoriale rivela un Paese spaccato a metà, con un Sud che vorrebbe ancora mantenere la coincidenza fra proprietà e gestione dei servizi pubblici, per assicurare il mantenimento del consenso, e un Nord che spinge verso modelli di impresa di tipo manageriale, perché è sempre più forte la consapevolezza del ruolo giocato dai servizi pubblici per accrescere la competitività dei territori.

Quanto alle imprese, in gran maggioranza, anche quelle di piccole e medie dimensioni, chiedono un’offerta che corrisponda alle caratteristiche produttive del territorio (81,1%), perché esiste un legame molto significativo fra qualità dei servizi, efficienza interna delle imprese e competitività sul mercato. Il tessuto produttivo esprime anche una forte domanda di aziendalizzazione delle public utilities, poiché questa conferirebbe maggiore efficienza ai servizi e ai sistemi locali.

Le famiglie, per parte loro, sono portatrici di una cultura «tariffa-centrica»: per il 51,9% l’economicità delle tariffe è l’elemento decisivo nella scelta dell’operatore, e il 55,7% apprezza l’apertura alla concorrenza nella convinzione che porterà a un miglioramento della qualità dei servizi a prezzi più bassi. Le famiglie che hanno cambiato gestore dei servizi elettrici e del gas lo hanno fatto nell’83,3% dei casi per pagare di meno.

Anche la soddisfazione per i servizi si presenta piuttosto differenziata. Per il 56,3% delle imprese la qualità è inferiore alle aspettative, valore che scende al 48% tra le famiglie. Queste ultime cominciano ad affidarsi alle associazioni dei consumatori (il 10% sul piano nazionale) e affermano in gran parte (il 56,2%) di conoscere lo strumento della «carta dei servizi».

 


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