Economia

Crisi del welfare, gli impact bond non sono la soluzione

La presidente di Fondazione Ant: «La variabile non sono tanto le risorse che il Sistema Sanitario Nazionale mette a disposizione quanto il numero di persone da assistere, che aumenteranno sempre più nei prossimi anni»

di Raffaella Pannuti

Questo intervento è stato pubblicato sl Corriere della Sera di sabato 14 febbraio:

«Intervengo a proposito degli articoli pubblicati a gennaio a firma di Milena Gabanelli, Marco Morganti e Letizia Moratti sui SIB – i Social Impact Bond – che si vorrebbero mettere in campo per il recupero dei carcerati, a favore del loro reinserimento in società. Condivido l’osservazione di Gabanelli sull’inopportunità di delegare a privati un compito sociale di competenza del pubblico, spesso non in grado di organizzarsi. Penso che lo stato non debba “passare la mano” ma che sia piuttosto necessario orientarsi verso un’integrazione fra pubblico e privato sociale in cui l’Ente Pubblico mantenga un saldo controllo qualitativo e gestionale del servizio. La giornalista solleva poi il dubbio che i Social Impact Bond possano prestarsi a qualche  forma di speculazione. Questo, a causa dell’incertezza sulla provenienza dei risparmi visto che il pubblico investirebbe in uno strumento finanziario del privato. Il tema dei SIB mi affascina da diversi anni, ma nessun cattedratico o esperto di finanza è stato finora in grado di sciogliere i miei dubbi sulla loro reale utilità e possibilità di utilizzo, almeno nella nostra società. Piuttosto che avventurarsi su terreni potenzialmente minati come i SIB, credo sarebbe auspicabile un migliore utilizzo delle risorse già esistenti, ad esempio coinvolgendo il privato sociale come un vero e proprio partner.

Fondazione ANT, che io presiedo, è la più grande organizzazione italiana non profit che si occupa di cure palliative domiciliari: si prende cura, per capirci, del 25% dei Sofferenti di tumore assistiti a domicilio dal Sistema Sanitario Nazionale, circa 10.000 persone all’anno. Dati alla mano, sono convinta che l’investimento delle ASL in assistenza domiciliare per le malattie croniche e su un modello organizzativo di integrazione tra sanità pubblica e non profit, genererebbe un utilizzo migliore delle poche risorse disponibili. Gli stessi Morganti e Moratti ricordano “la sempre crescente scarsità di risorse disponibili da parte della pubblica amministrazione.” Da una recente ricerca realizzata dall’Osservatorio Oxford Economics emerge come, solo in Italia, il divario tra domanda di welfare e risorse pubbliche disponibili raggiungerà i 70 miliardi di euro nel 2025. Ma il punto è proprio questo: non si può parlare di “risparmio” come indicano la Moratti e Morganti, riferendosi ai Social Impact Bond, ma piuttosto di poter fornire più servizi alle persone – che nel nostro campo significa assistere più malati di tumore – con uguali risorse.

In una società che sta progressivamente invecchiando, dove le malattie croniche e le fragilità aumentano, dove – secondo gli ultimi dati Eurispes – le persone si indebitano per pagare le spese sanitarie, la variabile non sono tanto le risorse che il Sistema Sanitario Nazionale mette a disposizione quanto il numero di persone da assistere, che aumenteranno sempre più nei prossimi anni. Dunque la sfida che il non profit deve affrontare nel futuro non saranno tanto i SIB, quanto piuttosto una reale e strutturata integrazione con il Sistema Sanitario Nazionale che possa ancora garantire, come ai nostri padri, così a noi e ai nostri nipoti, il diritto alla salute come ora sancito dalla nostra Costituzione». 

 

Nella foto di Stefano Pedrelli un'infermiera di Ant impegnata in una visita domiciliare

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