Settimana Mondiale dell'Acqua

Crisi climatica, entro il 2050 a rischio sete 3 miliardi di persone

L’allarme lanciato dal nuovo rapporto di Oxfam che fotografa l’impatto devastante del cambiamento climatico sulla disponibilità d’acqua in aree sempre più vaste e vulnerabili in Africa, Medio Oriente a Asia. Già oggi in media 1 pozzo su 5 scavato da Oxfam nelle aree più colpite dell’Africa è completamente asciutto

di Antonietta Nembri

La carenza d’acqua colpirà nei prossimi decenni aree sempre più vaste del pianeta: una crisi idrica di portata epocale che avrà conseguenze drammatiche sull’aumento di fame, malattie e migrazioni forzate di massa.

Basti pensare – sottolinea una nota di Oxfam Italia – che in soli 10 tra i Paesi al mondo più colpiti dai cambiamenti climatici – Somalia, Haiti, Gibuti, Kenya, Niger, Afghanistan, Guatemala, Madagascar, Burkina Faso e Zimbabwe – la malnutrizione cronica potrebbe aumentare di oltre un terzo entro il 2050, colpendo 11,3 milioni di persone in più rispetto ad oggi.

L’organizzazione, in occasione della Settimana mondiale dell’acqua (21-24 agosto) lancia l’allarme presentando il primo di una serie di rapporti Water dilemmas: The cascading impacts of water insecurity in a heating world” (in inglese) che fotograferanno una crisi che determinerà il futuro del pianeta. 

Il dossier – che prende in esame 20 dei principali Paesi colpiti dalla crisi idrica e climatica in 4 aree del mondo – denuncia infatti un’emergenza che già oggi colpisce 2 miliardi persone che non hanno accesso adeguato all’acqua e che entro il 2050 potrebbe colpire 1 miliardo di persone in più. Una data entro la quale si potrebbero registrare fino a 216 milioni di migranti climatici interni a livello globale, tra cui 86 milioni solo in Africa sub-sahariana.

«Il riscaldamento globale causato dalle emissioni di gas serra e dall’uso di petrolio, carbone e gas, sta portando ad una terribile crisi idrica globale, che deve essere affrontata prima che sia troppo tardi per tantissimi», afferma Paolo Pezzati, policy advisor sulle emergenze umanitarie di Oxfam Italia. «Quella che abbiamo di fronte è una delle più gravi minacce che l’umanità si trova ad affrontare e a pagarne il prezzo più alto sono già i Paesi e le comunità più povere e meno preparate, che paradossalmente spesso sono anche i meno responsabili delle emissioni inquinanti. Ne abbiamo già la dimostrazione plastica nel nostro lavoro quotidiano per portare acqua alle comunità più povere in tutto il mondo. I nostri ingegneri sono costretti a scavare pozzi sempre più profondi, più costosi e più difficili da mantenere in funzione, spesso solo per trovare falde già esaurite o inquinate».

«Ad esempio» continua Pezzati, «in Africa orientale, alle prese con la peggiore siccità degli ultimi 40 anni, in media 1 pozzo su 5 che scaviamo oggi è già asciutto, là dove dovrebbe esserci acqua. I terreni sono aridi e dobbiamo scavare sempre più a fondo o impiegare tecnologie di desalinizzazione che a volte non funzionano, con costi sempre maggiori, proprio mentre gli aiuti internazionali per fronteggiare l’emergenza idrica stanno calando».

La crisi climatica in Africa orientale e occidentale

In vaste zone dell’Africa orientale oltre 32 milioni di persone al momento sono alla fame estrema a causa di 5 anni di siccità. E la situazione è destinata peggiorare. Il rapporto di Oxfam rivela infatti come, entro il 2040, l’Africa orientale potrebbe essere colpita da un aumento dell’8% delle precipitazioni, che provocherà un ciclo di inondazioni e siccità che porterebbe a un aumento potenzialmente catastrofico del 30% del deflusso superficiale delle acque, che riduce la ricarica delle acque sotterranee e abbassa la falda freatica, peggiorando la siccità soprattutto per il settore agricolo e per  tutte quelle persone che dipendono dai pozzi d’acqua per sopravvivere. 

Un fenomeno – continua la nota – che quindi produrrà un impatto devastante sull’impoverimento dei terreni, che verranno privati delle sostanze nutritive essenziali per i raccolti e aumenterà il rischio che molte infrastrutture essenziali vengano distrutte dalle alluvioni. La conseguenza ad esempio potrebbe essere l’aumento esponenziale di casi di malaria che entro il 2030 potrebbe colpire tra 50 e 60 milioni di persone in più, rispetto ad uno scenario in cui si escludesse l’impatto della crisi climatica.

Somalia, foto Oxfam

Anche l’Africa occidentale sarà colpita dalla crisi idrica. Entrambe le regioni stanno già affrontando infatti ondate di calore più intense dell’8-15% e cali della produttività del lavoro dell’11-15%, a causa di migrazioni di massa di comunità costrette a spostarsi per sopravvivere a fame e povertà estrema, cambiamenti nelle colture, perdita di bestiame e l’intensificarsi di conflitti causati proprio dalla scarsità d’acqua. A livello globale si stima che negli ultimi 20 anni quest’ultimi siano quadruplicati, rispetto al periodo 1980-99.

«Già oggi, a causa della durissima siccità che colpisce queste aree dell’Africa, molti dei sistemi idrici installati da Oxfam stanno diventando insufficienti e molti pastori e piccoli allevatori, ad esempio, sono costretti a migrare per cercare nuovi pascoli» osserva Pezzati. «In Corno d’Africa sono già morti oltre 13 milioni di capi di bestiame a causa della siccità. Nel frattempo in Sud Sudan le inondazioni stanno spazzando via le strutture igienico-sanitarie, inquinando e quindi rendendo inservibili le fonti d’acqua dolce disponibili. Mentre aumenta la diffusione di malattie, come il colera, che vengono contratte per l’uso di acqua contaminata».

L’aumento delle temperature In Medio Oriente

Un’altra delle aree più colpite dalla crisi idrica è e sarà il Medio Oriente, dove entro il 2040 le precipitazioni potrebbero diminuire al punto tale da provocare una forte diminuzione della portata dei fiumi e dei livelli di acqua disponibile nei bacini idrici. Le ondate di calore aumenteranno del 16%, provocando un calo della produttività del lavoro del 7%, mentre i prezzi dell’acqua aumenteranno esponenzialmente di pari passo con una sempre maggiore necessità e domanda d’acqua.

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Tutto questo provocherà anche un aumento dell’insicurezza alimentare in Paesi spesso già attraversati da conflitti lunghissimi e atroci, come lo Yemen e la Siria; o in Paesi come l’Iraq, che sta già affrontando una delle più gravi siccità di sempre, che ha colpito un’area vastissima del Paese. Al momento 7 milioni di persone sono senz’acqua, cibo ed elettricità e tanti agricoltori sono costretti ad abbandonare terreni e animali per migrare verso città e centri urbani.

Nella provincia di Diyala, nel nord dell’Iraq, ad esempio, le alte temperature hanno prosciugato le riserve d’acqua da cui dipende la sussistenza della popolazione, compreso il lago artificiale Hamrin, che in buona parte è diventato una pianura desertica.

Yemen, sistema idrico installato da Oxfam

In Asia il livello del mare potrebbe salire di mezzo metro entro il 2100

In Asia, invece, vastissime aree saranno colpite dall’innalzamento del livello del mare, che potrebbe superare il mezzo metro entro il 2100 e dallo scioglimento dei ghiacciai. Questo provocherà inondazioni e renderà inservibili molte delle falde acquifere da cui dipendono centinaia di milioni di persone, lungo le zone costiere.

Le ondate di calore aumenteranno in media dell’8% e la produttività del lavoro calerà del 7%, con un conseguente aumento della povertà e delle migrazioni. Uno scenario in cui malattie come la malaria e la dengue potrebbero crescere del 183%.

Mancano i fondi per affrontare l’emergenza

Nonostante quanto sta già accadendo e le previsioni per il prossimo futuro, l’anno scorso – sottolinea Oxfam – da parte dei Paesi donatori è stato finanziato appena il 32% dei 3,8 miliardi di dollari richiesti dalla Nazioni Unite per garantire acqua pulita e servizi igienico-sanitari adeguati nelle aree di crisi più colpite, lasciando i Paesi più a rischio di scarsità d’acqua, senza le risorse necessarie per gli investimenti in infrastrutture idriche adeguate ed essenziali. 

«Le nazioni ricche e più inquinanti, non possono continuare a far finta di nulla, al contrario è cruciale che riducano immediatamente e drasticamente le loro emissioni e che aumentino gli aiuti ai Paesi più poveri e a rischio. Siamo ancora ancora in tempo per correggere la rotta, ma dobbiamo agire in fretta!» conclude Pezzati. 

L’appello ai governi

Oxfam lancia quindi un appello urgente ai governi perché riorientino importanti investimenti nell’adeguamento dei sistemi idrici nazionali, rendendola una priorità politica.

Ma soprattutto si chiede loro di sostenere l’obiettivo delle Nazioni Unite di destinare 114 miliardi di dollari all’anno per affrontare l’emergenza idrica e igienico-sanitaria a livello globale.

Nell’immagine in apertura Abdia Ibrahim una beneficiaria del progetto idrico a Barambale in Isiolo county Kenia, foto Oxfam


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