Politica

Crisi auto. Cara politica, qui si parrà la tua nobilitate

di Riccardo Bonacina

Gli Stati Uniti “non saranno ostaggio di risorse (energetiche) in calo”, la lotta ai cambiamenti climatici e la dipendenza americana da fonti energetiche straniere rappresentano “un pericolo urgente per la nostra sicurezza economica e nazionale”. E’ partendo da queste considerazioni che il presidente degli Stati Uniti Barack Obama – al suo settimo giorno alla Casa Bianca – ha firmato due nuovi ordini esecutivi che rovesciano completamente la politica di George W. Bush in materia. Mentre il segretario di Stato americano Hillary Clinton ha nominato Todd Stern inviato speciale per i cambiamenti climatici. Ieri, in un incontro con i giornalisti, Obama ha sottolineato che le sue scelte saranno guidate dalla “scienza solida” e non dalla “rigida ideologia”. L’America “è a un punto di svolta”, ha affermato ancora il presidente. I due ordini esecutivi da lui firmati oggi prevedono che la California ed altri 13 stati possano far entrare in vigore misure più severe in materia di limiti di emissioni di gas inquinanti e di efficienza delle automobili e che il Dipartimento dei Trasporti finalizzi velocemente i nuovi regolamenti con cui si dovrà imporre a livello nazionale alle case automobilistiche una maggiore efficienza delle auto. “Per il bene della nostra sicurezza, della nostra economia e del nostro pianeta, dobbiamo avere il coraggio e prendere l’impegno a cambiare”, ha esortato ancora Obama. Che ha assicurato: “La politica della mia amministrazione sarà quella di abbandonare la nostra dipendenza dal petrolio straniero, mentre costruiremo una nuova economia energetica che creerà milioni di posti di lavoro”. Barack Obama ha affrontato la grande crisi dell’industria automobilistica americana, ribaltando le carte in tavola. Volete un sostegno governativo alle vostre imprese, ha detto ai tre Big dell’auto americana? Ebbene, cambiate filosofia di prodotto. «Voglio essere assolutamente chiaro». ha detto. «Il nostro obiettivo non è di porre nuovi ostacoli ad un’industria già in grave difficoltà; è di aiutare i costruttori americani a prepararsi per il futuro… Dobbiamo avere il coraggio di cambiare». Nel novembre scorso, Michael Moore,  in una memorabile lettera aperta intitolata “Non meritano neppure un centesimo” (titolo riferito alle tre big dell’auto made in Usa), scriveva che: “Ciò che è bene per la General Motors è bene per il Paese, si è sempre detto. Ma una volta tanto sia il Paese a dettare le condizioni”. Proprio lo stesso giorno in cui Obama lanciava il suo “diktat” ambientalista ai big dell’auto americana, Sergio Marchionne usciva allo scoperto dichiarando apertamente l’emergenza dell’auto italiana e del suo indotto: un settore che vale l’11% del Pil e circa un milione di addetti. Scrive Giuseppe Frangi nell’editoriale di Vita oggi in edicola: «Ci fosse un Michael Moore italiano, scriverebbe che la Fiat è certamente industria di interesse nazionale, ma che non si può soffocare ulteriormente un Paese di auto (il rapporto di 60 auto per 100 abitanti è il più alto d’Europa). E che se si vuole il sostegno pubblico bisogna pensare anche a un modello industriale che venga incontro ad interessi collettivi e delle generazioni future. La responsabilità sociale è avere questo coraggio». Insomma, anche qui non limitiamoci a ripetere il detto tanto caro alla famiglia Agnelli: ciò che è bene per la Fiat è un bene per il Paese. Una volta tanto sia il Paese a dettare le condizioni di un primo vero cambiamento. Certo, per far questo occorre una politica forte e credibile. Per la politica, anche italiana, è il momento in cui, come scriveva Dante: “Qui si parrà la tua nobilitate”. (Inferno – Canto II, v. 9)


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