Il suono di questa parola, ahimè, viene pronunciato sempre più nella nostra quotidianità: telegiornali, programmi televisivi, amici, conoscenti, genitori…
La Crisi non risparmia nessuno: artigiani, piccole imprese, pensionati, aziende “colosso”, universitari, lavoratori, cooperative profit e no profit. Ognuno di noi ha almeno un conoscente che è stato toccato dalla devastazione di questo stato economico che sta attanagliando i nostri presenti: persone che si ritrovano senza un lavoro, giovani che armati di buona volontà non trovano occupazione, laureati e cervelli che fuggono dal nostro stato, suicidi per la loro condizione di affamati o debitori verso lo Stato.
Stato che viene personificato dalle Pubbliche Amministrazioni, le quali esigono i propri crediti in tempi strettissimi, con more e sanzioni altissime in caso di ritardi, ma che impone ai suoi creditori tempi da calende greche per riscuotere quanto dovutogli. Crediti che possono essere erogati, dopo dilazioni di pagamento di mesi, se non anni, solo con la presenza del DURC (Documento Unico di Regolarità Contributiva) regolare cioè, tradotto in soldoni, per darti i soldi devono verificare e assicurarsi che tu abbia versato il “sangue” dei tuoi conti correnti.
E’ un cane che si morde la coda: aziende e cooperative che vantano crediti con la P.A. per centinaia di migliaia di euro si ritrovano a non poter pagare i loro debiti con l’erario perché egli stesso è, indirettamentre, loro debitore.
I telegiornali ci narrano di come questi creditori si ritrovino a chiudere i battenti essendo impossibilitati a pagare dipendenti, fornitori, tasse, perché con i conti correnti in rosso.
Nel mondo del sociale le Cooperative la principale fonte di finanziamento è rappresentata proprio dai fondi o dalla rette pagate dai Comuni, dalle Ausl o dalle Regioni, responsabili dei minori, dei malati fisici o mentali, degli anziani, seguiti da queste, per cui tutti enti della Pubblica Amministrazione.
Le Cooperative che gestiscono strutture per l’accoglienza residenziale di minori con storie di abbandono, abusi, situazioni familiari o istituzionali inadatti a sorreggerli, incorrono nel rischio di fare pagare le conseguenze della crisi sulla vita degli ospiti di queste. Infatti, al contrario di alcuni pensieri sostenuti da persone ignoranti che definiscono le comunità o le case famiglia come un grandissimo business, chi lavora nel sociale vede questo lavoro come una “missione”: aiutare le sempre più numerose persone che hanno bisogno di supporto e solidarietà sociale.
Nella mia realtà di socia di Agevolando ho toccato con mano, ma soprattutto con il cuore, la situazione di una comunità che si trova a dover chiudere i battenti perché ha crediti con la P.A. e non ha finanze per poter pagare tutto ciò che serve alla struttura stessa per sopravvivere (tasse, cibo, medicinali, stipendi, affitti, terapie…): progetti di ragazzi che vengono interrotti bruscamente vanificando il percorso già fatto, ragazzi che ancora bisognosi di essere seguiti si ritrovano a essere dimessi per mancanza di fondi; adolescenti e ragazzi che, vedendo le basi che stavano costruendo per il futuro affondare nelle sabbie mobili e non avendo più un appoggio – abbandonati dalle istituzioni – tentano il suicidio.
Il mio pensiero può sembrare cinico, ma vorrei ricordare che dopo gli affetti e la salute la cosa che viene spontanea mettere nelle priorità della nostra vita sono anche quei “pezzi di carta” che ci permettono di mangiare, di curarci, di crearci una vita futura. Che futuro hanno questi bambini e questi ragazzi nel mondo reale se già in tenera età la Pubblica Amministrazione, che dovrebbe tutelarli ed aiutarli, li abbandona a se stessi?
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