Welfare

Cresce in Italia il popolo dei working poor

Hanno lo stipendio ma non arrivano a fine mese. Li ha "stanati" il lavoro della commissione presieduta da Revelli

di Giuseppe Frangi

Sono oltre un milione nell’Italia 2009. Sono i poveri prossimi venturi, quelli che stanno ai margini delle schematizzazioni abituali. Ma il Rapporto sulle politiche contro la povertà e l’esclusione sociale, presentato a Roma il 17 dicembre, li ha “stanati” e definiti: sono i “working poor”. Poveri nonostante un reddito entri in casa; poveri, nonostante facciano l’impossibile per non darlo a vedere, per non farsi bollare come tali. Il working poor tipico è l’operaio torinese con famiglia, il cui reddito non è più sufficiente a garantire un trend da ceto medio basso. E che per di più vive con la spada di Damocle della cassa integrazione: quel taglio alle entrate di casa che fa precipitare la situazione.
Il Rapporto, elaborato dalla Commissione di indagine sull’esclusione sociale, è arrivato a produrre una fotografia così completa anche per la scelta metodologica che è stata introdotta: non solo elaborazione di dati statistici, ma anche interlocuzione con i soggetti dei territori (tre gruppi di lavoro hanno “scavato” nelle situazioni di Napoli, Torino e Roma) e soprattutto con le audizioni. «È una novità assoluta», spiega Revelli. «È stato un andar dentro la crisi, sentirne in diretta la voce».
Perché la crisi ha colpito duro: questa la conclusione del Rapporto. E ha colpito duro proprio sul piano dell’impoverimento dei ceti medi, che meno sono abituati a ricorrere a quegli strumenti estremi (mense, fondi di solidarietà…) cui è invece allenato chi vive nella povertà “assoluta”. La crisi ha colpito duro in particolare a Sud, perché la forbice si è fatta ancora più ampia: la povertà assoluta qui è quasi cinque volte superiore rispetto al Nord. E sono misurazioni fatte tenendo conto anche del differenziale del costo della vita. Dati quindi senza appello.
Poi la crisi ha colpito duro in particolare le famiglie, accentuando quel fenomeno della povertà minorile che mette l’Italia al terzultimo posto in Europa. «È un fenomeno grave», spiega Revelli, «perché la famiglia è stata usata in questi anni come ammortizzatore sociale, senza mai darle forme di sostegno. Per di più la crisi ha portato a un taglio nei servizi, in particolare per quel che riguarda la scuola. E il taglio è pagato dalle madri per cui è ancora più difficile trovare spazio per un lavoro. Questo porta a una drammatizzazione di una situazione già a rischio. Ma questo è lo scotto per non avere politiche per la famiglia».
Il Rapporto si propone anche una valutazione degli strumenti messi in campo per combattere la povertà. E tra questi c’è anche la Carta acquisti. «È stata una buona cosa, perché ha creato un’infrastruttura su cui lavorare e iniettare altre risorse. Anche se un limite c’è: la Carta ha raggiunto solo il 18% di chi sta nella povertà assoluta. Colpa dello sbarramento sulle fasce di età. È il caso di ripensarlo».


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